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Bill Ackman critica Lutnick: profitti dai bond mentre l’economia crolla

Bill Ackman, noto gestore di hedge fund di Wall Street, si unisce al coro di chi critica l’inefficacia dei dazi voluti da Donald Trump e il loro impatto devastante sulle borse globali. Ma chi se lo sarebbe aspettato? La coerenza sembra essere un lusso che pochi possono permettersi in questo teatro dell’assurdo, dove anche i sostenitori più ferventi del tycoon cominciano a prendere le distanze.
A chi giova davvero?
Ackman, che non è certo il primo a dilettarsi nell’analisi dei disastri economici, lancia un tweet diretto contro il segretario al Commercio, Howard Lutnick, ex CEO di Cantor Fitzgerald. «Ho appena capito perché @howardlutnick è indifferente al mercato azionario e al crollo dell’economia. Lui e la sua azienda sono lungi sulle obbligazioni. Guadagna quando la nostra economia implode». E qui l’ironia è palpabile: chi avrebbe mai pensato che il segretario al Commercio potesse avere un interesse così spiccato per la catastrofe economica? Un vero esempio di conflitto d’interessi, l’inefficienza burocratica al suo apice.
Un nuovo regime commerciale: l’ennesima illusione?
La verità è che i rendimenti sui Treasury decennali americani sono scesi dal 4,355 al 3,95%, facendo lequilibri con chi detiene titoli di Stato, proprio in un periodo in cui il sistema economico scricchiola. L’ottimismo di chi vive nel cuore pulsante della finanza elude la realtà dei milioni di cittadini alle prese con un collasso economico imminente.
Nelle sue dichiarazioni, Ackman sottolinea che questo «nuovo regime commerciale» è un «errore». Imponendo tariffe “massicce e sproporzionate” non solo ai nemici ma anche agli amici, si lancia una wave of economic warfare contro il mondo intero. E che succede? La fiducia nel Paese come partner commerciale viene distrutta. Un capolavoro di incoerenza che non smette di stupire.
Chi paga le conseguenze?
E qui arriva il momento di maggior cinismo: le conseguenze per i cittadini, in particolare per i consumatori a basso reddito già in difficoltà, saranno «gravemente negative». E che dire delle promesse non mantenute? Non ci si aspetta un’uscita poetica sul tema; anzi, per la verità, il malcontento si respira nell’aria. Certamente non è per questo che gli elettori avevano appoggiato un presidente il cui mantra era “America First”, ma chi ha veramente a cuore gli interessi degli americani?
Una soluzione rimasta nell’ombra?
Alla luce di tutto ciò, si fatica a trovare soluzioni. In un confronto con altri Paesi che affrontano le sfide commerciali con diplomazia e pragmatismo, la differenza emerge in modo tragico. Le «riforme» tanto attese sembrano svanire come neve al sole, lasciando i cittadini a chiedersi che fine abbiano fatto le promesse di prosperità.
E mentre le incognite si accumulano, si può solo sperare in un cambio di rotta che, irrimediabilmente, sembra sempre più un’illusione. Riuscirà il nostro Paese a liberarsi delle catene dell’inefficienza e dell’incompetenza, o continueremo a nuotare nel mare dell’incertezza?