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Cultura che schiaccia l’economia: l’ennesima manfrina del dibattito pubblico

Che l’Italia sia un Paese afflitto da una crisi demografica è un dato di fatto, ma chi ha il tempo di preoccuparsene? I dati più recenti dell’Istat (marzo 2025) ci dicono che nel 2024 solo 370mila neonati hanno visto la luce, un calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. Insomma, stiamo battendo ogni record possibile nella fecondità, fermandoci a un drammatico 1,18 figli per donna. Ma, come al solito, chi vuol vedere, vede: le ragioni per cui i giovani non si buttano a capofitto nella paternità non si limitano certo alla crisi economica, ma affondano le radici in qualcosa di molto più complicato, tra cultura, socialità e relazioni.
A dirlo è la Fondazione Magna Grecia, che sottolinea quanto sia “interessante” studiare questi fattori in relazione agli effetti socioeconomici della denatalità, come se fosse un puzzle da risolvere per chi, peraltro, gioca nelle stanze dei bottoni. A loro dire, l’ansia di diventare genitori è influenzata dalla voglia di investire su se stessi e sul tempo a disposizione, ma chi ha tempo da perdere, ormai?
“Se vogliamo trovare soluzioni, dobbiamo affrontare la questione nella sua totalità”, spiega il presidente della Fondazione Magna Grecia, Nino Foti, come se fosse un guru della società contemporanea. Certo, l’analisi delle opinioni dei giovani potrebbe risultare illuminante per i decisori, ma chi si scomoda più a capire il fenomeno, quando è così facile ignorarlo?
Lo studio conferma una verità che non è affatto una sorpresa: “Per fare famiglia ci vuole famiglia”. Quei giovani che desiderano avere figli (59,4% ci tengono a sottolinearlo) sembrano voler avere un bel sostegno da parte della famiglia d’origine. Perché si sa, contano più le spalle coperte che la voglia di generare nuova vita. Se avere figli è un progetto, molti neanche lo iniziano per timore di rovinare l’“incredibile” sviluppo personale che hanno raggiunto. Non possono certo rinunciare alla stabilità economica (49,5%), a un lavoro che non li faccia stramazzare al suolo (33,4%), o a una relazione senza tumulti (38,4%) e, figuriamoci, a quel preziosissimo tempo libero (33,6%).
Il fattore tempo, poi, diventa il re della questione. Realizzare le proprie passioni (43,6%) diventa il motivo principale per cui si decide di non intraprendere il cammino verso la parentela. Oltretutto, una famiglia senza figli viene considerata comunque una famiglia. Ma dai! È un concetto davvero rivoluzionario. Soprattutto dalle donne, che si sentono più propense a facilitare le adozioni (41,5%) piuttosto che seguire il diktat della natalità per contrastare la denatalità stessa (4%). Ironico, non è vero?
Siamo arrivati a un punto in cui la denatalità è diventata un argomento da bar, con tutti a riflettere sull’arte di fare figli come se non ci fosse un domani. È chiaro: per i nostri giovani, l’idea di procreare è più una faccenda privata, un affare di famiglia, piuttosto che una questione che coinvolge la società. E chi non ha paura di “pagarla” sul lavoro? Le giovani donne sembrano battitrice da un altro pianeta, dove la carriera viene prima della nidiata, eppure continuiamo a chiederci perché ci sia una crisi demografica.
Il presidente della Fondazione Magna Grecia ha messo in luce la questione con serietà, cosa che, sorprendentemente, non accade così spesso. Ha affermato che la denatalità non è solo un problema da risolvere, ma “mette sotto pressione il patto sociale tra generazioni”. E chi l’avrebbe mai detto? Dobbiamo essere più creativi per affrontare questo dramma esistenziale, e non dimenticare che siamo, in un certo senso, il paese “più anziano” d’Europa. Ma hey, chi ha bisogno di nuove idee, giusto?
La Fondazione ha proposto un nuovo “Osservatorio permanente su Denatalità, sostenibilità intergenerazionale e longevità”. Se non altro, con un nome del genere, non ci si può di certo annoiare. Si intende esaminare invecchiamento attivo e l’economia dell’età argento. Perché, naturalmente, mentre gli anziani diventano sempre più numerosi, è fondamentale ripensare la cittadinanza, il lavoro e, perché no, anche le politiche abitative. Perchè non lanciarsi in una “silver age economy”?
Ma non è finita qui! Occorre ridisegnare il welfare, che sembra ormai obsoleto, per slegarlo dal “modello mediterraneo”, tipicamente legato alla famiglia. Perché chi ha bisogno di un sistema di supporto tradizionale quando possiamo complicare ulteriormente le cose? Sì, sperimentazioni di welfare comunitario e housing collaborativo sembrano fantastici, quasi da sogno. E poi, chissà, potremmo persino valorizzare i nonni come figure chiave nella genitorialità. Chi lo avrebbe immaginato?!
Insomma, la ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha detto saggiamente che “conoscere per deliberare” è la chiave. E mentre i governi si affrettano a trovare soluzioni, ci resta il compito di capire il contesto culturale di queste scelte economiche. Perché, chiaramente, la denatalità è solo il sintomo di problemi molto più grandi che ci riguardano tutti. E il compito di risolverli? Beh, è sempre degli altri, naturalmente.