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Finalmente il festival che prova a salvare il mondo con un po’ di verde e tanto bla bla blu

Sostenibilità e innovazione digitale si contendono la scena alla sesta edizione de Il Verde e il Blu Festival, che apre i battenti oggi a Roma per due giorni di intensa – e quanto mai necessaria – riflessione. Organizzato dalla multinazionale di consulenza Bip, l’appuntamento promette un’immersione tra i tanti paradossi e le contraddizioni della transizione energetica, della rigenerazione urbana e della rivoluzione digitale che tarda a decollare, ma che deve per forza farlo.
La prima giornata si concentra sulla Green Finance, tema che fa tendenza ma che spesso sguazza tra belle parole e scarsa concretezza. Tra strategie finanziarie, strumenti nuovi – certo, è bello sentir parlare di investimenti verdi quando si tratta di far sembrare tutto più etico – e qualche dibattito sui valori comuni, emerge il solito mantra della gestione efficiente delle risorse: specie l’acqua, “bene prezioso” da proteggere per i posteri. Salvo poi vederne sprechi a ripetizione nella realtà quotidiana delle città.
Nel secondo giorno, si cambia registro ma non la sostanza: l’intelligenza artificiale sarà la star dell’incontro. Il focus? I suoi effetti sui processi produttivi e sul lavoro. Ovvero, come preparare le nuove “competenze” e inchinarsi alla necessità di una formazione a ritmo frenetico, che spesso rincorre più le mode che le reali esigenze del mercato. Nel frattempo, si farà anche un salto nella normativa della transizione energetica: un groviglio di regole che, come al solito, rischia di spaventare più che facilitare.
Il panel sui distretti produttivi promette miracoli: dal reshoring, cioè il ritorno della produzione dei beni “nostrani” in patria, fino a innovazioni che dovrebbero rinnovare, almeno in teoria, i sistemi produttivi. Presentazioni, speranze e qualche realtà di serie B che resta dietro le quinte senza far rumore.
Non poteva mancare nel programma il Report sulla Smart Mobility, ancora uno di quei termini che suona bene quando si deve fingere di avere una “visione” sul futuro. Secondo il rapporto, la micromobilità elettrica convince il 20,7% degli italiani, un passo avanti per alleggerire il traffico e diminuire le emissioni. Peccato che serva ben più di qualche percentuale per cambiare abitudini radicate.
Se il 55% degli italiani sembra aperto all’idea di qualche veicolo elettrico (non fosse altro che per i fantomatici risparmi sul carburante, che però da soli non bastano), sul fronte dei veicoli autonomi la fiducia crolla: solo il 30% si dice favorevole. Una bella prova del fatto che il futuro annunciato spesso sembra un passo troppo avanti rispetto al buonsenso popolare.
Nonostante l’Italia mostri un certo impegno verso le soluzioni di mobilità sostenibile, e un crescente interesse verso mezzi pubblici e veicoli a emissioni zero, il cammino è costellato da ostacoli reali. Tra questi spiccano infrastrutture di ricarica insufficienti e un sostegno al carpooling e alle soluzioni MaaS (mobilità integrata accessibile da un unico canale digitale) che entusiasma più della metà degli italiani, almeno quando se ne parla comodamente seduti.
Infine, il Report Smart People & Smart Government offre il pretesto per riflettere sugli intrecci tra amministrazione digitale e cittadinanza. E qui la richiesta più urgente è chiara: una maggiore vicinanza, quella vera, all’utente finale. Insomma, meno digitale autoreferenziale e più umanità nel mezzo dei codici.
La distanza tra cittadini e pubblica amministrazione è così marcata che metà degli italiani si lamenta di un farraginoso eccesso burocratico, una forma di sport estremo che continua a far perdere tempo prezioso. E, ciliegina sulla torta, nonostante un crescente utilizzo degli strumenti digitali (41,5%), la modalità fisica rimane la preferita per il 52,83% delle interazioni. Innovazione? Sì, ma solo con i piedi per terra (o forse, in fila allo sportello).
La digitalizzazione, questo miraggio futuristico, porta comunque con sé le solite tre gemme di paura: la tragica perdita del contatto umano (64,86%), perché parlare con una macchina fa troppo freddo; il rischio di esclusione digitale per le fasce più fragili (62,16%), perché la tecnologia deve essere democratica, o almeno provarci; e i timori verso la sicurezza dei dati personali (54,05%), perché tutti adorano sapere che i loro segreti siano ben custoditi da giganti digitali tanto affidabili quanto una rete senza falle.
Donato Iacovone, presidente di Bip, illustra la favola della sostenibilità, che non è un ostacolo ma una “possibilità”. Una magia che promette di non frenare né competizione, né innovazione, né progresso, e persino di consentire di continuare a innovare senza distruggere il futuro. Insomma, il lieto fine ideale: esistere ancora come specie umana, senza dover per forza rinunciare a nulla. Un vero mantra che vira dalla realtà complessa alla soluzione semplicistica per addormentare ogni dubbio.