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Naspi dal 2026, l’Inps ci aggiorna come se fosse l’evento del secolo: ecco cosa (forse) cambia davvero

Naspi dal 2026, l’Inps ci aggiorna come se fosse l’evento del secolo: ecco cosa (forse) cambia davvero

Il 2025 porta con sé la rivoluzione della Naspi, quella tanto attesa riforma che cambia le regole del gioco per chi si ritrova a cercare lavoro. Come se non bastasse l’incertezza del mercato, ora arriva la legge di Bilancio a introdurre un nuovo requisito contributivo che farà la gioia di molti — o meglio, dei tanti che avranno la fortuna di aver versato almeno tredici settimane di contributi tra un licenziamento e l’altro.

Infatti, a partire dal 1° gennaio 2025, per accedere all’indennità di disoccupazione NASpI, chi ha lasciato un lavoro a tempo indeterminato volontariamente — tramite dimissioni o risoluzione consensuale — deve aver maturato un nuovo minimo contributivo di tredici settimane nel periodo che intercorre fino alla successiva perdita involontaria del lavoro. Tradotto: se avevi deciso di andartene di tua spontanea volontà da qualche mese, ora ti ricorderanno che devi aver lavorato abbastanza, altrimenti niente assegno. Che teneri.

Ovviamente, non è tutto così spietato: restano fuori da questa nuova “tagliola” le dimissioni per giusta causa, quelle durante i periodi di maternità o paternità tutelati, così come le risoluzioni consensuali inscenate in quel teatrino giuridico chiamato procedura ex articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604. Insomma, certi casi restano “esenti”, quasi a voler sembrare umani.

Per completare il quadro, l’INPS (che ha il piacere di ricordarcelo) precisa che il rapporto di lavoro da cui si decide di dimettersi deve riguardare esclusivamente un contratto a tempo indeterminato, mentre la successiva perdita involontaria può riguardare sia contratti a tempo determinato che indeterminato. Tante garanzie per i più fortunati.

Passando al fatidico aspetto contributivo, si valuta tutto ciò che può sembrare utile secondo il regolamento: contributi previdenziali ordinari compresi quelli versati per la quota NASpI, periodi “figurativi” come la maternità obbligatoria (purché la contribuzione sia stata versata o dovuta all’inizio del congedo), e addirittura i giorni di congedo parentale debitamente indennizzati. Non mancano nemmeno i periodi di lavoro all’estero, in Paesi comunitari o convenzionati con accordi di totalizzazione, e le astensioni per malattia dei figli fino agli otto anni, entro un più che generoso limite di cinque giorni lavorativi annui.

E per chi pensava che il settore agricolo fosse escluso dalla festa, ecco la ciliegina sulla torta: le settimane di contribuzione maturate in agricoltura durante il periodo d’osservazione sono sommabili alle altre, perché tanto non si butta via niente, soprattutto quando serve a rimpolpare il requisito delle tredici settimane. Sarà un sollievo per chi ha cambiato carriera più volte.

Prima di festeggiare, però, l’INPS sottolinea l’aspetto cruciale: questa nuova prescrizione contribuisce solo all’accesso all’indennità NASpI in presenza di dimissioni o risoluzioni consensuali a tempo indeterminato nei dodici mesi prima del licenziamento involontario. In pratica, se non hai questo contributo minimo, addio sussidio.

Per la gioia dei più attenti, però, niente cambia sulla durata o sulla misura dell’indennità: si continua a calcolare tutto con le vecchie regole, perché stravolgere certi meccanismi sarebbe troppo banale. Quindi, meno accessi possibili, lo sforzo lo fanno solo sull’ingresso, mentre l’assegno resta uguale.

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