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Commercio globale: Italia ancora la regina delle illusioni nella resilienza economica

Commercio globale: Italia ancora la regina delle illusioni nella resilienza economica
Global Attractiveness Index: dieci anni di strategie e illusioni sull’attrattività nazionale

Festeggia dieci anni il tanto celebrato Global Attractiveness Index, la piattaforma che si vanta di analizzare e misurare l’attrattività dei Paesi, nonché di discutere i fattori e le strategie che a detta sua influenzerebbero maggiormente questo discusso parametro. Presentato in 25 Paesi e sbandierato a oltre 10.000 stakeholder globali, si è ormai imposto come strumento chiave della diplomazia economica italiana – un vanto a metà strada tra un’autocelebrazione e un mantra aziendale senza fine.

Con metà del 2025 alle spalle, il GAI inizia a fornire qualche primo indizio sull’“attrattività” dei diversi Paesi, un concetto che, a dispetto del nome, spesso si mostra piuttosto elastico nella sua interpretazione. Supportato dalle più prestigiose multinazionali del calibro di Toyota Material Handling, Philip Morris e Amazon, e perfettamente inserito nel Composite Indicators & Scoreboards Explorer della Commissione Europea (per darsi ancora più un’aria di ufficialità), l’indice si appresta a completare il suo “percorso” a settembre al Forum “Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive” nella terza edizione di Villa d’Este, a Cernobbio. Qui, tra un aperitivo e l’altro, sarà presentato il Rapporto 2025 contenente la tanto attesa classifica GAI, il Tableau de Bord per l’Italia e quell’intrattenimento statistico che promette di scuotere le coscienze economiche nazionali.

Tra le chicche più innovative di questo giocattolo statistico figura l’Indice di Sostituibilità Commerciale, uno strumento capace di misurare quanto un Paese sia “insostituibile” come partner commerciale, basandosi sull’idea che esportare beni in cui si detengono vistose quote di mercato equivalga a un’immunità pressoché invincibile. In questa speciale classifica, l’Italia si accontenta di un “modesto” 21° posto mondiale, conquistando un secco secondo posto in Europa solo dietro la onnipresente Germania. Insomma, un segnale di potenziale solidità in tempi di tempeste commerciali che ci fa sorridere – o forse piangere – per la delicatezza della situazione.

Tra le altre preziose evidenze del lavoro di quest’anno emerge un dato paradossale: le multinazionali straniere in Italia, pur rappresentando un’esigua percentuale numerica (appena lo 0,3% delle imprese), riescono a svolgere un ruolo da protagonista nella nostra economia e, più in generale, in quella europea. Un vero miracolo statistico. In termini concreti, queste poche “presenze” sostengono quasi il 10% dell’occupazione totale nazionale, generano il 17,4% del Valore Aggiunto – o PIL, se preferite – il 20,5% del valore della produzione e ben il 22,5% degli acquisti di beni e servizi interni. Insomma, fanno girare la baracca come pochi.

Giorgio Busnelli, VP e Country Manager di Amazon Italia, si prende la briga di ricordarci con una punta di orgoglio corporativo:

“I dati del Global Attractiveness Index 2025 confermano il ruolo chiave delle multinazionali come motore di sviluppo per l’economia italiana. In 15 anni di presenza in Italia, Amazon ha investito oltre 20 miliardi di euro, contribuendo significativamente alla digitalizzazione del Paese. La nostra esperienza dimostra, infatti, come le multinazionali possano essere un catalizzatore per lo sviluppo dell’intero sistema economico: questo è particolarmente evidente per le oltre 20.000 PMI che utilizzano i nostri servizi per crescere in Italia e all’estero. Per massimizzare questo impatto positivo, è fondamentale poter contare su un quadro normativo europeo e nazionale chiaro, stabile e armonizzato.”

Dunque, a quanto pare, grazie al tocco magico delle multinazionali e a qualche numerino ben confezionato, il futuro del nostro Paese si disegna all’insegna della digitalizzazione e delle strategie vincenti. Peccato che, sotto la superficie delle cifre smaltate, il quadro normativo spesso somigli invece a un campo minato di leggine, rinvii e promesse non mantenute. Ma nulla che possa fermare l’inarrestabile entusiasmo degli analisti del GAI, pronti come sempre a suggerire che la chiave del successo sia un po’ di chiarezza e stabilità – nulla di più, ma forse anche niente di meno, se si vuole davvero affascinare, attrarre e convincere.

Che magnifica idea: facilitare gli investimenti e l’innovazione per il bene delle imprese e dei consumatori! In Amazon sono convinti che un Mercato Unico Europeo forte, inclusivo e sostenibile sia il segreto magico per potenziare la competitività europea. E, ovviamente, loro sono pronti a dare il loro contributo per rafforzarlo. Peccato che questa filantropia aziendale evidentemente non sia stata sufficiente per colmare il divario italiano.

Perché sì, l’Italia continua a arrancare rispetto alla media europea. Le imprese multinazionali (MNE) in Europa sostengono il 15,4% dell’occupazione complessiva, mentre nel Bel Paese si ferma a una modestissima quota inferiore di 5,5 punti percentuali. Stessa storia per il Valore Aggiunto, la produzione e persino gli acquisti di beni e servizi: tutte grandi differenze che, se si vuole vedere, indicano solo una cosa: tanto margine per crescere (o per lamentarsi).

Ma non disperiamo: le multinazionali attive in Italia non sono qui solo per farsi una passeggiata. Producono un valore aggiunto per addetto che sembra quasi da Nobel: 106mila euro, ben il 77% in più rispetto alle imprese nostrane. E gli investimenti per addetto? Quasi 14mila euro, un miracolo della produttività che mette in ombra le aziende italiane tradizionali. Insomma, sembra proprio che il futuro dell’economia italiana sia affidato a queste multinazionali, che tra l’altro non si limitano a “rubare” posti di lavoro, ma scommettono anche su Ricerca & Sviluppo.

Leonardo Salcerini, Amministratore Delegato di Toyota Material Handling Italia, non manca di ricordarci la resilienza delle multinazionali di fronte ai malanni commerciali dell’Italia: “Noi continuiamo a investire in Ricerca & Sviluppo, fondamentale per la crescita e per la creazione di posti di lavoro. Siamo orgogliosi di partecipare a un progetto decennale che mira a rendere il nostro Paese più business-friendly, supportato da strumenti innovativi come il Tableau de Board.”

Nel frattempo, l’Unione Europea fa passi da gigante nel creare regole comuni, grazie al famigerato “Effetto Bruxelles” – quella meravigliosa capacità di esportare normative che diventano standard planetari. Peccato però che dietro l’apparente efficienza si celi la solita chimera della sovraregolamentazione, con Bruxelles che impone un diktat normativo capace più di intralciare che di agevolare.

La soluzione? Una regolamentazione europea efficace, ma flessibile, che lasci agli Stati membri qualche margine per adattare le regole al proprio contesto nazionale, così da incentivare competitività e attrattività. In altre parole, meno rotture di scatole burocratiche e più spazio per respirare e fare impresa. Ovviamente, un sistema normativo equilibrato non è solo un sogno, ma la chiave per costruire filiere produttive integrate e di alto valore aggiunto come quella che Philip Morris ha realizzato in Italia.

Pasquale Frega, Presidente e Amministratore Delegato di Philip Morris Italia, si esibisce in un intervento che suona più come un inno alle lodi su misura: “La nostra filiera coinvolge 41mila persone, 8mila imprese e produce un impatto che supererebbe mezzo punto del PIL nazionale. Tutto grazie a investimenti in innovazione e tecnologia, uniti a una visione chiara del futuro.”

Chissà, forse se il resto della normativa nazionale e comunitaria smettesse di farsi la guerra, l’Italia e l’Europa riuscirebbero finalmente a giocare da protagonisti su quel teatro internazionale che ogni giorno diventa più complesso e … sarcasticamente caotico. Ma non disperiamo, perché almeno possiamo contare sul sostegno di queste multinazionali tanto “generose” da tenere in piedi la baracca.

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