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I comuni che si buttano a capofitto a sfruttare il Pnrr prima che sia tardi

I comuni che si buttano a capofitto a sfruttare il Pnrr prima che sia tardi

Le amministrazioni locali sono in prima linea nell’uso del Pnrr, ma senza una visione chiara rischiano di affondare nella burocrazia.

Vito Parisi, vicepresidente dell’Anci con delega alla mobilità sostenibile, non nasconde certo il proprio orgoglio nell’aver messo rapidamente in pratica le potenzialità del Pnrr nei Comuni. A suo dire, sono stati i primi a realizzare nuove infrastrutture, alcune ancora in fase di completamento, rispettando sia i tempi che gli obiettivi previsti dal piano.

Ma non basta costruire. Qui siamo davanti all’ennesimo mantra: serve una governance solida, perché senza una pianificazione seria, tutto il resto rischia di restare solo buone intenzioni e cartelloni pubblicitari. Secondo Parisi, i tradizionali Pums (i Piani urbani di mobilità sostenibile) sono ormai insufficienti. La soluzione? Creare agenzie di trasporto locali, pubbliche e con manager che sappiano gestire il trasporto pubblico con competenza reale. Tutto questo dovrebbe rimanere sotto l’ala dei Comuni, d’altronde non è mica un segreto che il controllo pubblico sia l’unica strada per evitare il caos.

Ovviamente, come ogni intervento pubblico che si rispetti, servirebbero più risorse. E qui arriva l’appello un po’ disilluso di Parisi: spera che il fondo venga «rimpinguato», perché le somme a disposizione non sono affatto soddisfacenti, e che si aprano nuovi scenari di ripensamento strutturale. Insomma, più soldi e meno chiacchiere.

Curiosamente, l’esperienza delle agenzie di trasporto dei Comuni medi e piccoli viene dipinta come una specie di modello virtuoso, tanto che Parisi spera si possa esportare anche nelle grandi città. Un’utopia? Forse no, ma prima occorrerebbe finalmente una condivisione dei dati che oggi sembra utopica: il sistema resta ancora ancorato a dati storici, ignorando completamente l’evoluzione del panorama della mobilità.

Tra le ingenuità più grandi spicca il non considerare i cambiamenti che avvengono nelle stazioni ferroviarie o l’esplosione dello sharing, di automobili e biciclette. Il mondo intorno a noi evolve freneticamente, ma la gestione del trasporto pubblico pare rimasta intrappolata nel passato come un disco graffiato.

Parisi non perde l’occasione per ribadire un concetto essenziale ma fin troppo trascurato: la governance della mobilità deve restare pubblica. Troppo spesso ormai si osserva un lento ma inesorabile cedimento al privatismo, un rischio enorme soprattutto in prospettiva delle nuove sfide tecnologiche dietro l’angolo, come la guida autonoma e l’intelligenza artificiale.

Per concludere, Parisi spera che queste parole non restino un semplice esercizio di retorica, perché se si continuerà a lasciare il trasporto pubblico nelle mani del privato, si aprirà la strada a una trasformazione ben poco rassicurante. Insomma, non si tratta solo di costruire infrastrutture, ma di garantirsi che dietro ci sia qualcuno che sappia manovrare i fili del gioco, possibilmente per l’interesse pubblico e non per quello di qualche magnate nascosto.

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