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Il tuo privilegio, caro Cimbri: il lusso di non capire nulla

Il tuo privilegio, caro Cimbri: il lusso di non capire nulla

Benvenuti nel 2025, dove un colosso assicurativo che macina profitti a nove zeri decide che tornare indietro di 40 anni è la vera innovazione. Dove un presidente che incensa la “carne” dei lavoratori dimentica che oggi la carne si consuma nel traffico, nello stress, nella burocrazia inutile e in uffici che sembrano usciti da un film distopico. E soprattutto dove chi lavora da remoto, produce di più e vive meglio viene accusato di voler rubare privilegi. Ecco l’ennesima recita di un potere miope, arrogante e tragicamente fuori tempo massimo.

L’epico ritorno al passato glorioso (che non è mai esistito)

Carlo Cimbri, presidente di Unipol, rimpiange la fabbrica e denigra lo smart working come se fosse un capriccio di qualche sfaticato con il Mac sulle ginocchia. Secondo lui, chiedere di lavorare da casa durante un’allerta meteo è “aver perso la dimensione della realtà”. No, caro presidente, la realtà l’avete persa voi, che fingete di non vedere i benefici dello smart working: meno inquinamento, più produttività, migliore conciliazione vita-lavoro. Ma certo, meglio difendere un modello gerarchico e polveroso in cui il controllo visivo vale più dei risultati.

Lo smart working? Solo se ci sono bombe o uragani

Cimbri ci fa sapere che il lavoro da remoto può andar bene “per le emergenze”. Un’idea geniale: aspettiamo un terremoto o una guerra per concedere due giorni a casa. Per il resto, tutti in ufficio, che “l’impresa è fatta di carne”. Sì, quella carne da macello che si infila in treni affollati e attraversa città intere per fare call su Teams dallo stesso computer che avrebbe sul tavolo di casa. Cosa c’è di più disumanizzante che dover timbrare il cartellino solo per farsi vedere?

L’eroismo degli anni ’80 come clava contro il presente

Non contento, il presidente ci racconta delle glorie sindacali del passato, quando si lottava per salari e tutele. Oggi invece si protesta per “privilegi”. La vera domanda è: da quando lavorare in modo più efficiente e umano è diventato un privilegio? Forse da quando un dirigente, ormai istituzionalmente allergico al cambiamento, decide che solo il suo modello di lavoro è legittimo. Gli altri? Viziati, pigri, scollegati dalla realtà. Peccato che quella realtà abbia portato migliaia di imprese a rivedere i modelli organizzativi, investire in tecnologia e scoprire che la fiducia nei lavoratori rende più di mille badge.

Il cortocircuito di un colosso che parla di responsabilità sociale… col megafono del cinismo

Unipol si riempie la bocca di “responsabilità sociale”, ma intanto i dipendenti che osano chiedere flessibilità vengono trattati come sabotatori del sacro tempio aziendale. I sindacati parlano chiaro: utili miliardari, ma lavoratori ignorati, territori trascurati, relazioni sociali da vetrina e una classe dirigente che predica inclusione mentre impone obbedienza. Il tutto condito dal classico paternalismo d’altri tempi, dove il boss ti spiega come dovresti sentirti fortunato a spaccarti la schiena, perché “l’impresa è fatta così”.

Storie di lavoratori ignorati: il caso dell’allerta meteo

Durante l’allerta meteo, centinaia di dipendenti hanno protestato davanti alla Torre Unipol per il divieto di lavorare da casa. Una richiesta di buonsenso bollata da Cimbri come marginale: “Solo qualche centinaio, mentre 5.000 erano in streaming”. Perfetto: la matematica come arma di discredito, come se il numero contasse più della ragione. Quelle “centinaia” rappresentano persone che affrontano pioggia, vento e caos urbano per rispettare un dogma che nulla ha più a che vedere con l’efficienza. E che anzi ha tutto l’odore di un capriccio manageriale.

Soluzioni? Solo se si svegliano

Potremmo parlare di modelli ibridi, accordi flessibili, strumenti di misurazione dei risultati invece delle presenze. Potremmo perfino citare Paesi dove il lavoro da remoto è un diritto strutturale, non un’eccezione tollerata. Ma a che serve? Quando chi comanda è convinto che l’innovazione sia una minaccia, le soluzioni diventano solo scenografie. Se mai un giorno qualcuno salisse su quel famoso “albero che cade”, forse si accorgerebbe che la foresta sta morendo. In silenzio.

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