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InIercos contro i dazi: la lotta titanica che il gigante dei cosmetici non vuole far conoscere

InIercos contro i dazi: la lotta titanica che il gigante dei cosmetici non vuole far conoscere

Dazi, inflazione e crisi geopolitiche: come Intercos sfida la tempesta globale del beauty

Il mondo del beauty è diventato un vero e proprio campo di battaglia fatto di dazi punitivi, costi in salita e tensioni commerciali internazionali. E mentre tanti si lamentano, Intercos – il gigante italiano della cosmetica business-to-business – sembra danzare sul pelo dell’onda senza soffrire troppo i marosi. Con una rete produttiva che abbraccia tre continenti e una crescita che non accenna a frenare, il gruppo italiano scommette su flessibilità, innovazione e radicamento locale per tenere testa alle turbolenze. Il suo amministratore delegato, Renato Semerari, tira le somme con assoluta lucidità.

Negli ultimi tempi, il settore beauty e skincare ha dovuto affrontare sfide di non poco conto, con i trasparenti inciampi delle tensioni commerciali internazionali. Il nostro Belpaese produce il 55% della cosmetica mondiale e il suo primo cliente d’oltreoceano resta sempre gli Stati Uniti. Ma con l’ipotesi sempre più concreta di dazi alla Trump, cosa succede davvero sui mercati più importanti per Intercos? E quali sono le vere trappole da evitare?

Renato Semerari riflette:

“L’entrata in scena dei dazi è senz’altro un problema per tutta la filiera, ma noi non ci facciamo cogliere impreparati. Abbiamo 16 stabilimenti sparsi tra Europa, America e Asia, inclusi due in terra americana. Questa capillare presenza globale ci permette di schivare meglio l’impatto dei dazi rispetto a tanti competitor più ‘statici’. Il vero intoppo, però, è l’instabilità delle regole: non c’è giorno in cui queste tariffe non cambino o non vengano rimesse in discussione. La nostra produzione locale negli Stati Uniti resta quindi una carta vincente, anche se finché le regole non si stabilizzano, riorganizzare i flussi di export e import resta una missione tutt’altro che semplice. Del resto, nonostante questa incertezza, nel primo semestre del 2025 abbiamo visto una crescita del 6,1% a parità di condizioni e un +8,8% tutta americana, grazie soprattutto al segmento prestige e al make-up. Quanto ai rischi immediati, crediamo che la pressione inflazionistica collegata ai dazi non si sia ancora fatta sentire appieno, ma è probabile che nel secondo semestre possa influire negativamente sui consumi negli USA, anche nel nostro settore.”

Chiedere quanto i dazi impatteranno sui costi di produzione e distribuzione di Intercos appare urgente. Le risposte non sono affatto rassicuranti, ma sono ben calibrate.

Semerari spiega:

“Molti prodotti destinati al mercato americano vengono già assemblati nei nostri stabilimenti negli Stati Uniti, cosa che limita l’aumento dei costi dovuti alle tariffe. Tuttavia, non bisogna dimenticare che una buona fetta delle materie prime necessarie – in particolare la componentistica per le confezioni – deve necessariamente arrivare dall’estero. Per esempio, circa l’80% del packaging cosmetico mondiale è fabbricato in Cina. E noi, va detto, non produciamo packaging internamente. Quindi, anche se abbiamo una produzione locale, siamo comunque esposti a rincari legati all’importazione di queste parti essenziali.”

Ecco svelato il gioco beffardo: ci metti dentro produzione locale, ma non puoi scappare dal gigante cinese che domina il packaging, ingrediente nascosto ma cruciale di ogni prodotto cosmetico. Una vera catena di contraddizioni che dimostra quanto il settore beauty sia meno immune di quanto sembri alle tensioni internazionali.

Insomma, Intercos gioca la partita con più pezzi sulla scacchiera: da un lato, la solidità di una rete globale e la capacità di innovare; dall’altro, il rischio concreto che l’inflazione e le politiche protezionistiche si trasformino in un ostacolo reale per i consumi e la filiera. Non male come equilibrio per un settore tradizionalmente associato a sfumature leggere e frivole.

Che sorpresa! I costi aggiuntivi dei dazi all’importazione vengono prontamente scaricati sui poveri clienti finali. Non solo i prodotti fatti nei nostri stabilimenti devono sobbarcarsi questi rincari, ma addirittura tutto il comparto beauty locale si trova a leccarsi le ferite economiche. Come se non bastasse, il consumatore finale, sempre più spremuto, deve accettare con grazia questa danza dei prezzi al rialzo. Fantastico, vero?

E ora, parliamo dei segmenti più sfortunati: skincare, make-up o haircare, quale di questi diventa il capro espiatorio del dazio? Spoiler: i prodotti del mass market negli USA sono quelli che si beccano il peggio. Perché? Semplice, la loro catena di approvvigionamento è praticamente asiatica al 100%, e quei consumatori americani così sensibili a qualsiasi aumento del prezzo potrebbero decidere che il loro fondotinta di turno può aspettare. Ah, e se qualche brand si cimentasse nel fantasmagorico “re-shoring” della produzione negli USA, potrebbe scoprire che i costi del lavoro locale rendono il prodotto meno competitivo di prima. Che bella prospettiva! Nel frattempo, Intercos, con i suoi investimenti nell’innovazione, si gode il lusso di snobbare la fascia bassa del mercato, quindi sembra immune a questa tragedia dei prezzi. Un applauso per la coerenza aziendale.

Non poteva mancare il capitolo “aree geografiche problematiche”: chi indovinerà il primo classificato? Naturalmente gli USA, regno del beauty mondiale e ora giocoliere tra un dazio e l’altro, tra politiche tariffarie che cambiano più veloce dei trend Instagram. Il risultato? I brand stanno più prudenti di un gatto davanti a un aspirapolvere. La buona notizia? L’economia americana, con la sua disoccupazione ai minimi storici, promette una rapida ripresa, magari anche un rimbalzo amichevole per le aziende B2B. Sempre che tutto vada come previsto, ovviamente. Nel frattempo, l’Asia sorride (forse guarda anche con un po’ di saccenza) con performance in crescita in Cina e Corea del Sud, mentre l’area EMEA si regge ottimamente in piedi, ringraziando gli anni post-Covid di crescita da record.

Come usa la bacchetta magica Intercos per schivare i dazi

La grandiosa risposta è una strategia di lungo termine che sa di rivoluzione industriale: spargere la produzione ovunque possibile. Un capolavoro di distribuzione globale con stabilimenti in Nord America, Europa e Asia, così da poter produrre vicino ai mercati di consumo e schivare come ninja quei temuti rincari tariffari o i malefici problemi logistici. Aggiungiamo nuove fabbriche in Cina e Corea del Sud, e voilà: flessibilità e continuità operative come se piovesse. Semplice, no? Viene quasi da chiedersi perché nessuno ci avesse pensato prima.

Il futuro? Protezionismo e incertezze a go-go

Indovinate un po’? Il protezionismo globale è qui per restare, pontifica Intercos, che ne ha viste tante ma sa che le incertezze macroeconomiche continueranno a far scorrere fiumi di caffè nelle sale riunioni. Dunque, la strategia è mantenere competitività e crescita sostenibile, come se fosse la cosa più facile del mondo, mentre il vento del protezionismo soffia forte sulle vele del settore beauty.

Trump. Che sollievo, vero? Ma niente panico, perché per affrontare questa giostra abbiamo bisogno, udite udite, di visione e solidità. Le priorità strategiche? Tre magiche parole: diversificazione, innovazione e trasformazione digitale. Nel primo semestre, oltre a gonfiare l’Ebitda come fosse un palloncino, si sono dati da fare migliorando la produttività industriale, l’efficienza operativa e il mix delle vendite. Tutto questo, unito alla solidità patrimoniale del gruppo e alla loro capacità di agganciare clienti globali, ci fa camminare nel futuro con tutta la fiducia di chi ha in tasca l’asso vincente.

Passiamo agli Stati Uniti, dove sembra stia iniziando la grande rincorsa alle scorte di K-Beauty, tutto per paura dei dazi. Sapete, quei balzelli che cambiano in continuazione e fanno impazzire tutti.

Ebbene, abbiamo notato un certo prudenza tra i brand americani, che preferiscono mantenere magazzini snelli pur di non ritrovarsi rovinati da rincari improvvisi. Una corsa alle scorte degna di Hollywood? No, grazie. L’incertezza regna sovrana: ordini oggi e tariffe domani, un gioco d’azzardo senza regole. Ma fortunatamente la nostra super struttura industriale è agile come un ninja, spostando tecnologie e formule qua e là per il globo, rispondendo ai clienti con la precisione di un chirurgo. Un vantaggio competitivo senza pari, soprattutto nel medio periodo. E non finisce qui: il nostro gruppo ha già fiutato da tempo l’affare K-Beauty. In Corea del Sud abbiamo il secondo centro di ricerca più importante, e indovinate? Abbiamo appena raddoppiato la capacità produttiva in quella regione. Applausi.

Il futuro del beauty tra tensioni e rivoluzioni

Il comparto beauty è in piena mutazione evolutiva. Le tensioni geopolitiche e commerciali? Sono solo il carburante per tendenze già in moto: sostenibilità di facciata, digitalizzazione forzata, innovazione a tutti i costi e la regionalizzazione della supply chain, un modo elegante per dire “non dipendiamo più da nessuno”.

I brand, questi esseri insondabili e indecifrabili, chiedono ora soluzioni rapide, su misura e, ovviamente, che rispettino le normative ambientali sempre più soffocanti. Tradotto: serve agilità degna di un contorsionista, innovazione come se piovesse e vicinanza al mercato, che poi vuol dire essere sempre pronti ad adattarsi o restare fregati. E indovinate un po’? Intercos è già sulla cresta dell’onda: investimenti tecnologici da fare invidia, presenza rafforzata là dove conta davvero e un fiuto da segugio per anticipare le esigenze dei clienti. Perché in questo caos apparente, chi coraggiosamente unisce velocità, qualità e una buona dose di visione industriale può fare il colpaccio.

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