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Cos’è davvero, come si aggira e chi si becca il no definitivo

Cos’è davvero, come si aggira e chi si becca il no definitivo

Il governo lancia l’Ires benevola: più investimenti e assunzioni, meno tasse per le imprese illuminati

Con un tempismo degno di un vero capolavoro burocratico, è stato finalmente approvato il decreto attuativo per l’Ires premiale, quella magica riduzione dell’imposta sulle società che sembra il biglietto d’oro per le imprese prodighe. In soldoni: più spendi in innovazione e assumere nuovo personale, meno versi allo Stato, con un taglio di ben 4 punti percentuali sull’imposta, dal 24% al 20%. Tutto questo grazie alla legge di Bilancio più recente, naturalmente.

Secondo il viceministro dell’Economia e delle Finanze, Maurizio Leo, il decreto nasce da un “lungo e costante confronto” con il mondo produttivo — ovvero, forse, un meeting infinito di chiacchiere tra governi e imprese per trovare l’escamotage perfetto. Il ministro ha infatti spiegato che la norma “gestisce tutte le complesse casistiche” per agevolare le aziende, venendo in soccorso a ogni loro presunta esigenza. Insomma, non un banale taglio fiscale, ma un “intervento sperimentale” pronto a diventare strutturale se i risultati saranno abbastanza buoni da giustificare l’esborso.

Un obiettivo nobile tratta di fornire “strumenti utili per crescere e innovare, creando nuova occupazione e rafforzando la competitività del sistema Italia”. Peccato che rimanga tutto sospeso a una valutazione dell’anno prossimo, quando scopriremo se la generosità aiuterà davvero chi si suppone debba aiutare o se finirà come tante altre promesse “sperimentali”.

L’agevolazione sarà valida per tutto il 2025, con il rischio — o la speranza, a seconda di come la si voglia vedere — di una proroga o di una stabilizzazione già dalla manovra d’autunno, purché le imprese abbiano dimostrato di meritare questo sostegno fiscale. Evidentemente attendiamo una rivoluzione pronta a saltare fuori dal modello Redditi 2026, con le imprese cucinate a dovere per cogliere la manna.

Ma quali sono i trucchi per conquistare il famoso 20% sul cartellino fiscale? Bisogna reinvestire almeno l’80% degli utili registrati entro fine 2024, e guai a distribuire quei soldi agli azionisti. Questo malloppo deve restare nel patrimonio netto aziendale per almeno tre anni consecutivi – 2024, 2025 e 2026, mica bruscolini. E almeno il 30% di questo capitale dovrà essere scialacquato in investimenti in beni di nuova generazione, i cosiddetti 4.0 e 5.0, che suonano tanto tecnologici e futuristici, anche attraverso leasing finanziari. In parole povere: o fai il ricco con macchinari all’ultimo grido o resta qui a pagare come tutti gli altri.

Non basta però la tecnologia a farti sentire la manna, serve anche il lavoro. Le imprese devono assumere almeno l’1% di lavoratori a tempo indeterminato in più rispetto al passato e mantenere un numero di dipendenti medi annui almeno pari alla media degli ultimi tre anni (2022-2024). Se poi nel 2024 o 2025 ti sei concesso il lusso di ricorrere alla Cig, questa festa fiscale non è per te.

Per gli esclusi della fortuna ci sono società in liquidazione ordinaria, imprese coinvolte in procedure concorsuali, chi si fa bastare i regimi forfettari e, dulcis in fundo, tutte quelle aziende che nel 2023 hanno chiuso col segno meno sul bilancio. In sintesi: se vai male, tutta questa generosità non fa per te. Tanto vale rassegnarsi e pagare – o sperare di entrare nella cerchia ristretta degli “virtuosi” che potranno vantarsi di pagare poco le tasse facendo i salti mortali.

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