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Mercati in bilico: Europa e Stati Uniti ballano col rischio mentre gli analisti predicono il disastro

Mercati in bilico: Europa e Stati Uniti ballano col rischio mentre gli analisti predicono il disastro
La nuova guerra fredda dei mercati: emergenti in ascesa mentre Europa e Usa navigano a vista

La stabilità politica? Ah, quella vecchia amica che fa tremare i mercati ogni volta che si sposta di un millimetro. Gli investitori, quei saggi cacciatori di certezze, si ritirano appena fiutano un alito di rischio. Oggi, con la scena globale in fermento, è lampante chi vince e chi rischia: i paesi emergenti si pavoneggiano con garanzie apparenti, mentre l’Europa – con la Francia che sembra sul punto di esplodere – e gli Stati Uniti, alle prese con il teatrino di Donald Trump contro la Federal Reserve, si trovano al centro di una tempesta di dubbi incalzanti. Gli analisti, con aria solenne, tracciano quella che potrebbe diventare la nuova geografia dei mercati finanziari, certificando quel che ormai sembra un copione scontato.

Il noto Investment Director per l’azionario dei mercati emergenti di GAM, Ygal Sebban, dichiara senza troppi peli sulla lingua che i mercati emergenti non sono più quelle mele marce da evitare a tutti i costi. Anzi, oggi sfoggiano una “disciplina macroeconomica” e una “resilienza” tali da far impallidire i vecchi giganti sviluppati, alle prese con tasse sempre più alte e una crescita inesorabilmente al rallentatore. Sebban fa pure i conti in tasca: entro il 2035, quei mercati rappresenteranno il 65% della crescita globale e nove di loro saranno tra le prime venti economie mondiali. E, ciliegina sulla torta, il loro debito pubblico/PIL si aggira attorno al 60%, una passeggiata rispetto al malato cronico oltre il 100% dei paesi sviluppati. Insomma, un po’ come passare dal Titanic al battello del nonno.

Nel frattempo, oltre Atlantico, Alessio Garzone, portfolio manager di Gamma Capital Markets, ci ricorda che la festa non è il tanto atteso Job Report del 5 settembre, bensì una revisione del 9 settembre sulle buste paga del Bureau of Labour Statistics che potrebbe far crollare tutte le certezze. Se dovessero emergere dati sgradevoli sull’occupazione, la Fed potrebbe alzare la posta con un taglio dei tassi da 50 punti base anziché i soliti 25, un vero “jumbo cut”. I mercati, eccitati dalla mossa, farebbero la ola per qualche ora, prima di riprendersi e realizzare che la Fed sta in realtà sventolando bandiera bianca di fronte all’economia fragile. Quindi, dal trionfo alla paura di stagnazione più inflazione, in una danza grottesca. E non è tutto: i rendimenti a lungo termine rimangono alti, a testimonianza che qualcuno ancora dubita della sostenibilità del debito americano e della solidità istituzionale. Un bel guazzabuglio per chi sperava in una trama lineare.

Quanto all’Europa, non si può ignorare la star dello show: la Francia. Con il primo ministro Bayrou che lancia un voto di fiducia sul bilancio, pare ormai scontato che questo volenteroso tentativo puff, potrebbe tradursi in una caduta tanto rumorosa quanto inevitabile. Non esattamente il miglior biglietto da visita per cercare di rassicurare mercati già nervosi e investitori più scettici dei soliti complottisti. Ma si sa, in tempi di politica europea, le certezze sono come le leggi di Murphy: tutto ciò che può andare male, probabilmente andrà peggio.

Che sorpresa! Niente elezioni anticipate in vista per Francia, nonostante la coalizione del governo sia allo sbando. Invece, come da copione, toccherà nominare un nuovo Primo Ministro, il fortunato incaricato di mettere insieme una legge di bilancio in qualche modo accettabile, lavorando di negoziati con tutte le fazioni politiche in campo. Insomma, niente rivoluzioni, solo l’ennesimo giro di valzer istituzionale. E per quanto riguarda le elezioni presidenziali? Off-limits, per ora. Quanto al Rassemblement National, quei temibili ipotetici nuovi padroni del potere, sembrano più un miraggio che una minaccia reale.

Il Global Credit Team di Algebris Investments ci ricorda, con un entusiasmo palpabile, che i mercati sono tornati a fissarsi ossessivamente sulle finanze pubbliche della Francia. E indovinate un po’? Le prospettive sono tutt’altro che rose e fiori: il debito pubblico, già stratosferico al 115% del PIL, non sembra intenzionato a fare marcia indietro. Anzi, cresce, cresce, e nessuno, nemmeno il mago della contabilità, potrà facilmente farlo rientrare nei ranghi. Lo sfidante obiettivo di ridurre il deficit dal 5,4% del PIL di quest’anno al 4,6% nel 2025 è stato bollato come un bieco sogno. Ora, la realtà ci dice che il deficit potrebbe aggirarsi tranquillamente tra il 5,5 e il 6% entro il 2026. E senza qualche miracolo finanziario, attenzione: le agenzie di rating stanno lì, pronte a far cadere il verdetto dopo il voto di fiducia. Una bella incognita.

E la sintesi di tutta questa pantomima? Dipenderà—udite udite—dalla capacità dei mercati di digerire questo lento, ma inesorabile, deterioramento fiscale francese. Per ora, niente catastrofi immediate, ma solo una noiosa, monotona erosione delle finanze pubbliche. Brindiamo a questa prospettiva esaltante.

Per fortuna, qualcuno nel mondo riesce ancora a vedere un barlume di luce. Alberto Tocchio, capo della divisione Global Equity and Thematics di Kairos Partners SGR, ci conferma che il Sud dell’Europa e gli Stati Uniti stanno tirando avanti meglio del previsto. Strano, vero? Agli occhi di molti, agosto avrebbe dovuto essere un tranquillo mese di pausa estiva, ma sotto la superficie calma dei mercati si è consumata una vera e propria rivoluzione silenziosa di portafogli. Qualcosa che potrebbe benissimo essere il trailer del thriller economico che ci aspetta nelle prossime settimane.

A agosto, l’azionario è stato sorprendente—sempre sotto il controllo del colosso americano. L’S&P 500 ha superato la soglia dei 6.500 punti, un aumento pazzesco del 30% dai minimi di aprile. Intanto l’Europa, alle prese con le sue consuete tensioni interne, lo stallo sull’Ucraina e il caos politico ed economico francese che ha anticipato i tempi, invece di crollare ha mostrato una resistenza quasi degna di nota. Sarà mica che, nonostante tutto, la crisi non faccia ancora abbastanza male?

Resilienza o semplice illusione?

In fondo, la domanda che brucia è una sola: quanto può durare questa serie gloriosa di resistenza? Quanta fatica ci vorrà prima che i rischi, tenuti in scacco faticosamente, prendano nuovamente il sopravvento? Tutto sembra suggerire che siamo in una fase di calma apparente, quella calma che di solito precede tempeste ben più impegnative. Ma chi può dirlo? Nel frattempo, brindiamo allo spettacolo—con un pizzico di ironia, s’intende.

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