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Quando il gyudon cede: la sorprendente storia della chiusura di 2000 ristoranti per topi e scarafaggi

Mentre il Giappone si vanta di essere la patria dell’efficienza e della pulizia, quasi 2.000 ristoranti Sukiya si sono visti costretti a chiudere i battenti per non servire zuppe alla carne di topo o pasti da asporto con scarafaggi croccanti. In un Paese dove l’onore vale più del profitto, la vergogna aziendale è arrivata in salsa di miso e condimenti infestati.
Hanno confuso “fast food” con “fauna infestante”
L’impresa è degna di un manuale su come distruggere la propria reputazione in due semplici mosse. Prima scena: Tottori, gennaio. Un cliente affonda il cucchiaio nella zuppa di miso e scopre che il sapore particolare è dovuto a un topo in decomposizione. Seconda scena: Tokyo, marzo. In un pasto da asporto, il protagonista non è il manzo, ma uno scarafaggio ben cotto. Applausi.
Il piano geniale: chiudere tutto, come se fosse un interruttore
Dopo il primo episodio, la direzione aveva già tirato fuori il solito copione da crisi: controlli, ispezioni, formazione, sorrisi. Evidentemente non è bastato. Ora, l’unica risposta possibile è la chiusura totale di 1.970 ristoranti. Una mossa disperata che grida “non abbiamo idea di cosa stia succedendo nelle nostre cucine”.
Tutelare la reputazione… se ancora ne resta una
L’obiettivo dichiarato? “Riconquistare la fiducia dei clienti”. Giusto, perché niente dice “fidati di noi” come chiudere tutto per paura di offrire un menu entomologico. La verità? La reputazione è già affondata più del povero roditore nella ciotola di miso. Adesso si cerca solo di limitare i danni.
Sukiya e il paradosso della ristorazione giapponese
Sukiya fa parte del gigante Zensho Holdings, che evidentemente ha deciso di puntare su un nuovo concept: il fast food infestato. In un Paese dove anche i treni arrivano al secondo, qualcuno ci spiegherà come sia possibile che nessuno si accorga di topi nei magazzini e blatte tra i fornelli. Forse stavano troppo occupati a compilare moduli di qualità ISO per non vedere l’ovvio.
Le “soluzioni” che fanno ridere i topi
Ora si parla di sanificazioni, formazione, ispezioni… di nuovo. Cioè: tutto quello che avrebbero dovuto fare prima, ma che ora viene venduto come “grande piano straordinario”. Intanto, centinaia di dipendenti restano senza lavoro temporaneamente, e i clienti si chiedono se la prossima ordinazione conterrà manzo o mammiferi extra.
Il lato umano: chi paga davvero il conto?
Tra i racconti più assurdi: una giovane mamma che ha dovuto buttare via tutto il pasto per i figli dopo aver scoperto il “bonus scarafaggio” nella busta. O un anziano cliente abituale che ha giurato di non mettere più piede in un Sukiya, “nemmeno se lo riaprono con Buddha in cucina”. Il problema? La gente comune paga sempre il conto, mentre i manager si scusano in conferenza stampa con facce da funerale aziendale.
Il vero menù della vergogna: ipocrisia, superficialità e disastro annunciato
Il caso Sukiya è solo l’ultimo episodio di un sistema che nasconde la polvere (e gli insetti) sotto il tappeto, fino a quando tutto esplode. Una cultura aziendale dove le apparenze contano più dei fatti, e dove si interviene solo quando i clienti rischiano di finire al pronto soccorso.
Possibili soluzioni (per chi crede ancora ai miracoli)
Potremmo suggerire:
- assumere personale in grado di distinguere una cucchiaiata di miso da una coda di ratto;
- investire in veri controlli sanitari e non solo in slide PowerPoint per la direzione;
- adottare un sistema trasparente di segnalazioni e ispezioni che non aspetti la prossima “blatta del mese” per reagire.
Ma diciamoci la verità: finché il danno d’immagine non si traduce in un crollo di vendite, tutto tornerà come prima. Solo con più zuppe e più scuse.