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Nella ristorazione aziendale serviamo 30 milioni di piatti all’anno

La visione dichiarata di Cirfood si erge come un faro illuminato in un oceano di convenzioni, ma riflette una realtà che merita attenzione. “Nutrire il futuro” suona quasi come un titolo di un romanzo distopico, una promessa luminosa che stenta a mantenere il passo con le sue presunte virtù. La presidente, Chiara Nasi, proclama con entusiasmo che servono ben 30 milioni di pasti all’anno nella ristorazione aziendale, su un totale di 100 milioni. “Un bel traguardo”, si dirà, ma ci si deve chiedere: a che costo?
Ma chi nutre chi, davvero?
Il benessere che Cirfood dice di promuovere non è che un mero orpello, una decorazione superficiale su etichette dall’aspetto appetitoso ma dal contenuto discutibile. Chiara Nasi menziona con orgoglio le “centinaia di migliaia di persone” che siedono alle loro tavole. Ma chi sta realmente beneficiando di questa abbondanza? È forse il benessere genuino degli utenti, o è solo un bel modo di dire per mascherare una catena di approvvigionamento che spesso ignora la qualità?
E sotto il velo della professionalità?
Le sue parole vantano “cultura e professionalità” dai connotati quasi epici, eppure aumentano le contraddizioni e le inefficienze nei vari aspetti operativi. Quante di quelle 100.000 lavoratrici e lavoratori possono effettivamente affermare di sentirsi valorizzati? È questo il “well-being” di cui si glorificano? Un brillante *schermo* che nasconde carestie di riconoscimento e sostegno?
Ma l’industria si nutre di illusioni?
Il panorama internazionale, con nazioni che gestiscono meglio il settore della ristorazione aziendale, osserva con scetticismo le litanie di Cirfood. Paesi che hanno implementato riforme concrete, rispettando la qualità degli ingredienti e le condizioni di lavoro dei dipendenti, sembrano lontani anni luce da questi proclami vuoti. Eppure, qui si parla di un futuro che continua a scivolare via, come un buon pasto che si trasforma in indigesta frustrazione.
Riforme o solo blaterii?
Perché queste “visioni” continuano a rimanere in superficie? Le promesse di miglioramenti si susseguono, ma come spesso accade, il tempo rivela la loro fragilità. Le contraddizioni e le mancanze di impegno sono servite su un piatto d’argento, mentre coloro che dovrebbero “nutrire” restano spesso affamati di opportunità reali.
Se “nutrire il futuro” implica un’autentica responsabilità sociale, ci si aspetterebbe un’effettiva azione e non solo retorica. Magari un giorno Cirfood deciderà di abbandonare il palcoscenico delle illusioni e dedicarsi a risultati tangibili. Ma ciò implicherebbe un ribaltamento totale dell’attuale **status quo**, che non sembra affatto sul punto di avvenire.
In conclusione, la vera questione è: vale davvero la pena continuare a nutrire queste illusioni? Se solo il futuro fosse più di un semplice slogan. Ma, si sa, è più facile riempire pance che consapevolezze.