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A2a spalma oltre 72 milioni all’anno in benefit e regali per far felici i dipendenti mentre il resto del mondo si arrangia

Più di 72 milioni di euro all’anno: questa è la magnifica cifra che A2a investe nella sua presunta “attenzione” verso i dipendenti. Un vero e proprio fiume di denaro destinato a un sistema di welfare aziendale che abbraccia ogni aspetto della vita, dalla famiglia al tempo libero, passando per salute e risparmio. Tutto presentato ufficialmente a Milano come la nuova frontiera dell’“innovazione sociale”. Peccato che, come sempre, la retorica sia più corposa del concreto.

Secondo studi accademici, nel 2023 le imprese italiane hanno versato circa 3,2 miliardi di euro nel welfare aziendale, con un incremento del 6% rispetto all’anno precedente. Un dato che, a sentir loro, suggella il trionfo di una cultura aziendale finalmente amica dei lavoratori. Anche se la vera domanda che nessuno si pone è: tutto questo investimento come si traduce nella vera vita quotidiana dei dipendenti?

Con la solita parata di rappresentanti di spicco — la sindaca di Brescia Laura Castelletti, il sindaco di Milano Giuseppe Sala, insieme al presidente di A2a Roberto Tasca e all’amministratore delegato Renato Mazzoncini — si è tenuto l’evento “WelLfare. Il welfare fa davvero bene”. Peccato che tra slogan e discorsi di circostanza non si sia sentito granché sul “come” e sul “quanto” effettivamente queste politiche migliorino la vita dei lavoratori, o se non siano solo cartelloni pubblicitari per pubbliche relazioni.

Non mancano comunque i soliti accademici, con nomi altisonanti: la Prof.ssa Marilisa D’Amico, il professor Maurizio Ferrera e la professoressa Franca Maino si sono alternati ad illustrare come il welfare aziendale possa, anzi debba, integrare il welfare pubblico. Peccato che questo “integrazione” suoni spesso come scaricabarile: meno spesa pubblica, più oneri per i lavoratori e le loro famiglie, giusto?

L’invecchiamento della popolazione e le trasformazioni sociali impongono cambiamenti, ci dicono. E le aziende, ovviamente, si propongono come benefattrici che “creano valore” per il territorio e le comunità. Peccato che spesso il valore sia soprattutto per il portafoglio aziendale, e non per quello dei dipendenti.

Roberto Tasca, presidente di A2a, ci regala così una perla di saggezza aziendalistica:

“Il welfare aziendale ha radici profonde nella storia di A2a: già negli anni ’60 si partiva con misure per arginare emarginazione sociale e disagi, creando strumenti di inclusione. Da allora è stato un percorso costante, che oggi si traduce nel nostro Piano di Azionariato Diffuso.”

Magari! Nel frattempo, qualcuno dovrebbe spiegare se questa “inclusione” passa davvero attraverso un piano che trasforma i lavoratori in azionisti, o se non sia piuttosto uno stratagemma per legarli a doppio filo agli obiettivi di profitto dell’azienda. E se A2a è davvero la prima impresa italiana a operare nell’economia circolare, non sarebbe male vedere un po’ di circolarità anche nei benefici distribuiti ai suoi dipendenti, non solo nei bilanci.

Ah, il magico mondo del welfare aziendale! Con un generoso investimento di 5,3 milioni di euro – che, come da manuale della gestione virtuosa, cresceranno ancora – A2a si vanta di aver attivato un piano che non solo “coinvolge” i dipendenti nel percorso di crescita della società, ma fa anche loro da maestrina di educazione finanziaria. Perché, sai com’è, è importante che i poveri impiegati sappiano come spendere i loro risparmi! Con questa mossa di solidarietà, l’azienda pensa di dimostrare il suo infinitamente profondo senso di responsabilità verso “le quasi 11mila adesioni” che, si autoconfermano, “testimoniano” l’importanza di tale investimento e, soprattutto, l’entusiastica fedeltà dei dipendenti.

Il nostro paladino di questa utopia welfare è Massimo Mazzoncini, ad di A2a, che ci regala perle illuminanti: “La disponibilità e l’accessibilità dei servizi incidono sempre di più sulla qualità della vita” – una frase così originale che quasi ci emoziona! Ma non finisce qui: ci dice che tutto l’impegno per il benessere dei dipendenti nel gruppo è cresciuto fino a diventare “centrale nella strategia”. Per loro, “oltre 72 milioni di euro all’anno” si trasformano in un sistema strutturato così evoluto da essere un modello di riferimento industriale. Giusto per non farsi mancare nulla, spunta anche un piano da 120 milioni fino al 2035 per supportare i colleghi nella genitorialità – perché mica basta l’economia reale, serve quella dei premi di welfare!

E in un altro colpo di genio, Mazzoncini ci spiega che “di fronte ai cambiamenti socio-demografici”, i sistemi di welfare aziendale diventano “laboratori di innovazione”, unendo pubblico e privato in un sogno a occhi aperti di benessere collettivo – come se le aziende fossero il nuovo municipio o la farmacia sotto casa.

Passiamo al direttore People and Transformation, Mauro Ghilardi, che ci racconta con orgoglio come dal semplice fondo assistenza sanitaria, case vacanze per i figli e colonie estive, l’impegno di A2a si è esteso come un bonsai innestato ad arte. Negli ultimi 18 mesi, infatti, ha fatto spuntare da terra due meraviglie: A2a Life Caring e A2a Life Sharing.

A2a Life Caring, con i suoi 10 milioni di euro annuali (120 milioni nel piano pluriennale), si dedica a sostenere la genitorialità con aiuti economici e corsi di formazione. Ecco la ciliegina sulla torta: un contributo annuale fino a 3.250 euro nei primi tre anni di vita dei pargoli, più un generoso supporto per le spese di istruzione fino al termine della scuola secondaria. Nel frattempo, A2a Life Sharing offre il piano di azionariato diffuso, sostenuto – oh sorpresa! – dalla maggioranza dei sindacati, che regala alle persone la rara opportunità di acquistare azioni dell’azienda e vestirsi da azionisti con vignetta finale di vantaggi fiscali.

E non è finita qua: il piano azionariato è un unicum nel mondo industriale, giacché tutte le altre aziende di cui qualcuno si ricorda hanno ben pensato di procedere in maniera unilaterale. Lo sforzo è tale che nella prima fase ha aderito l’86% degli aventi diritto (incredibile, eh?), mentre in autunno inizierà la programmazione nella quale chiunque potrà comprare azioni A2a e riceverne altre gratis, con una generosa discriminazione rovesciata: più sei basso in graduatoria, più azioni gratuite ti becchi. Quindi, agli operai una per ogni azione acquistata, ai quadri e impiegati una ogni tre e, dulcis in fundo, ai dirigenti una ogni cinque. Regalini di natale anticipati, insomma.

Per completare il quadro da film di fantascienza del welfare aziendale, si aggiungono altri 18 milioni che vanno a finanziare un catalogo gourmet di servizi: case per lavoratori, assistenza sanitaria integrativa, psicologi, programmi di benessere contro le dipendenze e varie convenzioni. E, come topping finale, 39 milioni per premi di produttività, che – ciliegina sulla torta – possono essere trasformati in fondi pensione con un contributo top da parte di A2a, pari al 15% circa.

Ah, ma il vero giochetto è che queste politiche di welfare non solo riempiono il portafogli e la coscienza del management, ma migliorano anche la “diffusione delle informazioni” sui diritti aziendali. Così i lavoratori diventano più consapevoli, la qualità della forza lavoro si fa irresistibile e, naturalmente, il territorio ne beneficia con un indotto di servizi di prim’ordine. Cosa volere di più da un investimento da capogiro? Benvenuti nel mondo dove aziende illuminate coltivano felicità a suon di milioni.

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