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Accordo strategico tra Mase e Federlegno al Salone del Mobile

Oggi nei padiglioni di Rho Fiera si è festeggiata l’ennesima celebrazione di intenti, con la sigla di un Accordo di programma tra il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e il Consorzio Nazionale Sistema Arredo. L’evento, giusto in tempo per il Salone del Mobile di Milano, ha messo in luce l’atteggiamento che ambisce a un futuro di responsabilità estesa del produttore (EPR) per l’arredo. Con un fervore che ormai sfiora il ridicolo, i relatori hanno dipinto un quadro luminescente di sostenibilità e circolarità, mentre la realtà del destino dei prodotti di arredo a fine vita resta nel fango dell’incertezza e della superficialità.

Presente alla cerimonia il viceministro Vannia Gava, accompagnata da una schiera di “esperti” del settore, come Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo, e Maria Porro, presidente di Assarredo. Questo evento è stato presentato come “un passo fondamentale” verso una filiera del legno-arredo rinnovata e sostenibile. Ma soffermiamoci per un attimo: quanto è “fondamentale” questo accordo se solo oggi ci si accorge che il settore può, anzi deve, riflettere sulle proprie pratiche di gestione dei rifiuti? Una rivelazione tardiva, non credete?

La prima fase proposta dall’accordo prevede “analisi a campione” per capire come vengono gestiti i rifiuti di mobili. Sarà un viaggio nei meandri della burocrazia che, invece di semplificare, aggiunge ancora strati di complessità. E la seconda fase prevede consultazioni con associazioni, come se non fosse stata mai notata prima la loro esistenza e il loro ruolo cruciale nella filiera. Il viceministro ha parlato di un “sistema innovativo EPR”, ma la nient’altro che un pio desiderio incartato in burocratica mestizia.

Ci viene quindi detto che questo accordo vuol essere un “motore di innovazione”, mentre nel concreto cosa ci si aspetta? Monitoraggi in città come Milano, Treviso, Napoli e Bari. City key? Ma non è proprio lì, nei centri nevralgici della produzione e del consumo, che già si registrano i fallimenti delle politiche di raccolta e riciclo? Sarà forse questa la nostra occasione per riesaminare come abbiamo gestito il rifiuto finora, per trasformare la parola “risorsa” da un concetto fluttuante a una realtà tangibile?

Le dichiarazioni di Gaetano Manfredi dell’ANCI non fanno altro che far eco a questa retorica: “migliorare la raccolta dei rifiuti” sembra essere l’obiettivo, ma come? Con quale programmazione concreta? La sua visione dell’uso appropriato della materia seconda suona come una melodia già sentita, spesso e volentieri disattesa.

È chiaro che ci si sta avviando verso un altro ciclo di promesse che, storicamente, si traduce in inefficienza e burocratizzazione. Le aziende che si dicono pronte a “credere in questa visione” sembrano essere le stesse che hanno fatto parte di un’industria che ha spesso chiuso gli occhi contro la realtà.

In conclusione, un’accusa di superficialità si staglia in alto: si crede davvero che una firma possa cambiare il corso delle cose? O sarà solo l’ennesimo gesto simbolico, un’illusione di cambiamento che continua a lasciare i rifiuti sul tavolo, mentre ci si compiace delle proprie buone intenzioni? E nel terreno di così poca azione reale, quale sarebbe la soluzione futuristica? Magari stabilendo mete concrete e vincolanti per ogni azienda coinvolta — un sogno che però rischia di rimanere tale.

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