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Acqua razionata e gestita come nel Medioevo: benvenuti nell’Italia dei 2.110 signori del rubinetto

Acqua razionata e gestita come nel Medioevo: benvenuti nell’Italia dei 2.110 signori del rubinetto

Quando pensi che almeno l’acqua sia una certezza, arriva lo Stato italiano e ti dimostra il contrario. Razionamentireti colabrodoComuni medievali che ancora vanno avanti con i pozzi privati, e una gestione idrica così frammentatada sembrare progettata per fallire. Ecco il ritratto impietoso di un paese dove il rubinetto funziona solo se abiti nella zona giusta — o hai abbastanza pazienza da aspettare il turno.

2.110 gestori per fare peggio di uno solo

Nel 2022, in Italia, si contano 2.110 gestori dell’acqua per uso civile. Sì, hai letto bene: duemilacentodieci. Di questi, l’82,4% sono gestiti “in economia” da Comuni ed enti locali. Tradotto: l’acqua è nelle mani di enti spesso sottodimensionatisenza competenze, e con una visione strategica degna di un consiglio condominiale.

E mentre si moltiplicano le poltrone, i loghi aziendali e le competenze disperse, l’efficienza resta un miraggio. Solo il 17,6% dei gestori è realmente specializzato. Il resto è un carnevale dell’improvvisazione, con Comuni che si ostinano a fare da soli, magari perché così possono decidere a chi dare l’incarico, con buona pace della trasparenza.

Mezzogiorno assetato: razionamenti da terzo mondo

Nel 2023, in un terzo dei capoluoghi del Sud, si è tornati a razionare l’acqua. Scene da emergenza cronica, ma ormai diventate routine. In alcune città si programmano interruzioni dell’erogazione, come se l’acqua fosse un lusso e non un diritto essenziale. Il tutto in un silenzio assordante, rotto solo dalle proteste dei cittadini lasciati a secco — e pure presi in giro.

Calabria e Sicilia: il festival della dispersione

In Calabria e Sicilia, due delle regioni colpite più duramente dai problemi idrici, si contano rispettivamente 262 e 248 gestori. Troppe teste, zero direzione. È come se per ogni pozzo ci fosse un dirigente, un logo e magari un consiglio di amministrazione. Non sorprende che le reti siano obsoleteinefficienti, e incapaci di garantire un servizio continuo.

I Comuni senza rete: il Medioevo liquido

Nel 2022, 13 Comuni italiani risultavano privi della rete pubblica idrica. Sì, ancora oggi, in Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, ci sono cittadini che devono arrangiarsi con pozzi privati. Altro che innovazione o smart city: siamo nella versione liquida del far west.

E l’integrazione? Una chimera a passo di bradipo

I segnali di una gestione più integrata ci sono, dicono. Peccato che si parli di “lento avvicinamento”. Tradotto: forse tra vent’anni avremo un sistema un minimo sensato, sempre che nel frattempo non ci prosciughiamo da soli con sprechiinfiltrazioni, e la solita buona volontà mal gestita.

Storie vere, assurdità reali

C’è chi in provincia di Caltanissetta si sveglia alle 4 di notte per riempire secchi prima che l’acqua venga razionata. O chi in un paese del Veneto, nel 2023, ha dovuto installare una pompa per attingere da un pozzo di famiglia, perché il Comune non ha mai visto l’utilità di una rete idrica pubblica. Ma tranquilli: nei convegni si parla di “ottimizzazione”.

Le soluzioni ci sarebbero. Ma chi ha voglia di risolvere?

Centralizzare la gestione? Richiede scelte impopolari. Rinnovare le reti? Costa, e non porta voti. Far gestire l’acqua a chi sa farlo davvero? Vuol dire abbandonare clientele e piccoli poteri. E quindi? Si tira a campare, come sempre. Con qualche slogan sulla sostenibilità, tanto per cambiare discorso.

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