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Antonio Marras conquista New York: primo store Usa per il genio sardo che mancava all’America

Antonio Marras conquista New York: primo store Usa per il genio sardo che mancava all’America
Antonio Marras apre il suo primo store in America: la sfida a Soho, cuore pulsante di New York

L’intramontabile Antonio Marras decide di fare il grande salto oltreoceano inaugurando il suo primo flagship store negli Stati Uniti. La scelta? Nientemeno che New York, ovvero la metropoli che non dorme mai, regina incontrastata di moda, arte e design. Il nuovo spazio si trova a Soho, in 121 Wooster Street, ed è presentato come un tassello fondamentale dell’internazionalizzazione del brand. D’altronde, perché scegliere un posto qualunque quando puoi investire nel quartiere più hippy-chic di una delle città più frenetiche e contraddittorie al mondo?

Antonio Marras, il genio creativo dietro il marchio, lo definisce ironicamente “una casa dove l’accoglienza è prioritaria”. Non c’è da sorprendersi: New York per lui è la città gemella, quella capace di non chiudere mai occhio, una giungla urbana fatta di incontri improbabili, contaminazioni culturali e continui cortocircuiti sociali. E come ogni metropoli che si rispetti, riesce a mantenere intatto l’amore per le proprie origini, persino dopo generazioni di migranti impazziti e operatori della moda sconvolti dal jet lag.

La CEO del brand, Barbara Calò, non si lascia sfuggire l’occasione per una dichiarazione perfetta da business plan: pare che l’energia eclettica di Soho, con le sue gallerie d’arte, gli atelier e gli spazi creativi, rispecchi esattamente il “DNA” di Antonio Marras. Tradizione e sperimentazione, memoria storica che si fonde con il contemporaneo, un coctail perfetto di moda, arte e design in una danza senza fine. Il cliché ormai sacro nel mondo del lusso, declinato ancora una volta in salsa italica.

Il negozio si sviluppa su oltre 700 metri quadrati, di cui 400 dedicati alla vendita, all’interno di un palazzo ottocentesco miracolosamente sopravvissuto al caos della metropoli. Soffitti in formelle di stagno decorate, colonne di ghisa, pareti in mattoni a vista: tutto studiato per esaltare il fascino “vintage” di un edificio che sembra venuto fuori da un libro di storia dell’architettura. E come se non bastasse, l’artificio scenico comprende un gigantesco lucernario che apre le porte a un curioso angolo botanico: un giardino-serra dove si mescolano design barocco e neoclassico, tappeti preziosi, lampadari in cristallo e piante di mirto in vasi fatti a mano. Squisitamente artigianale, naturalmente.

L’arredamento è una celebrazione del design italiano del Novecento, con icone quali il tavolo di Carlo Mollino e il divano Camaleonda di Mario Bellini. Ovvero, un confronto continuo tra passato e presente, tradizione e innovazione, condito da quella fascinazione quasi nostalgica per la storia che tanto piace ai cultori del made in Italy. All’ingresso, poi, i visitatori vengono accolti da un omaggio artistico a Maria Lai, mitica artista sarda e musa ispiratrice del designer, con un’istallazione site-specific tridimensionale pensata per dare quel tocco di alta cultura che fa sempre bene al posizionamento di un brand.

Che meraviglia! Un omaggio alla tradizione millenaria sarda, quella del telaio e della tessitura, perché nulla dice “avanguardia” come rispolverare il passato. Il rigore quasi ossessivo del telaio, quell’arnese razionale e ordinato, fa da contraltare alla nevrastenia passionale della ceramica lavorata a mano. Insomma, un elegante duello tra ordine e anarchia: da una parte un tracciato geometrico, dall’altra elementi ribelli e indisciplinati pronti a sovvertire ogni schema.

Antonio Marras ci tiene a precisare: “L’arredo arriva dalla parte più antica e ancestrale del mondo, la Sardegna, e si incastra con quel che si trova sul territorio, come se fosse sempre esistito.” Fantastico, quindi niente di nuovo sotto il sole, solo un sapiente mix di pezzi trovati casualmente che, guarda caso, funzionano a meraviglia insieme.

Ah, il benvenuto! All’ingresso c’è un’opera memorabile: una reinterpretazione del telaio composta da elementi in ceramica e legno, tenuti insieme con fascetti di corde – perché niente urla più “arte contemporanea” di un assemblaggio di materiali improbabili legati con un elastico, vero? Una vera e propria sinfonia di arte, arredi trovati e design, quadri, mobili che si trasformano magicamente in altro, chandelier, piante di mirto, divani e dehor. Insomma, la casa perfetta proprio al centro del centro… del mondo, naturalmente!

Dal 2022, Antonio Marras fa parte di Oniverse, un gruppo italiano diretto dall’imprenditore Sandro Veronesi. La sua squadra ha dato finalmente una spinta “concreta e strategica” al brand, perché senza una bella acquisizione internazionale tutto sarebbe rimasto purtroppo in Sardegna, tra mirti e tessuti. L’ingresso nel gruppo ha permesso di consolidare risorse e competenze (alzi la mano chi non ne aveva bisogno) per puntare a sfide globali e, perché no, preparare grandi aperture nel 2025 a New York e nel temuto Montenapoleone milanese.

Sandro Veronesi, presidente di Oniverse, si sbilancia:

“L’apertura del flagship store Antonio Marras a New York segna una tappa fondamentale nel percorso di internazionalizzazione del brand. Abbiamo scelto questa città perché rappresenta, come noi, l’intersezione tra moda, arte e design, nel complesso e sempre in evoluzione contesto globale. Essere presenti a New York ci permette di dialogare con un pubblico internazionale altamente sofisticato, rafforzando al contempo la nostra identità attraverso un’esperienza fisica immersiva e distintiva.”

Che dire? Nulla come posizionarsi a New York può far capire al mondo intero quanto si è “sofisticati”. Non importa se poi si continua a vendere oggetti raccolti sul territorio con l’aggiunta di qualche nodo ben piazzato: l’importante è il packaging, la cornice, il contesto globale in continuo movimento. E se tutto questo vi sembra un po’ troppo, ricordatevi che siete di fronte a una strategia di branding contemporaneo, magari volete solo un’oggetto bello, mentre loro vi regalano una narrazione ancestrale intrecciata a ceramiche “nevrotiche”. Insomma, il futuro è adesso. O forse era ieri, e non ce ne siamo accorti.

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