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Autorità di vigilanza: diminuiscono i ricorsi accolti, ma i rimborsi toccano i 160 milioni

Le cifre parlano chiaro e, ironicamente, sembrano ridere in faccia a chi aveva riposto speranze in un sistema che prometteva di garantire giustizia. Dopo anni in cui le pronunce dell’Arbitro hanno accolto in gran parte (in media nel 63% dei casi) le istanze dei risparmiatori, il 2024 segna una caduta vertiginosa a 49,7%. Non è solo il tasso di accoglimento a destare preoccupazione, ma anche l’importo medio dei rimborsi che scende a 9,4 milioni dagli 13,3 milioni dell’anno precedente. Cosa significa questo? Semplicemente che i risparmiatori, già martoriati, devono affrontare numeri sempre più desolanti.
Una “giustizia” a convenienza
Nella relazione del presidente dell’Acf, Gianpaolo Eduardo Barbuzzi, emergono risultati che scotterebbero chiunque avesse un briciolo di etica professionale. Dopo otto anni di vita, l’Arbitro ha deciso rimborsi per un totale di centosessantacinque milioni di euro, rispondendo a circa 12.000 risparmiatori. Tradotto: sì, i numeri sono altisonanti, ma il ritmo di 20,6 milioni di euro all’anno è ben lontano dall’ideale che tanti avevano sperato. Le istanze di risarcimento, sempre più consistenti, hanno raggiunto la cifra record di oltre 70.000 euro, un dato che non fa altro che evidenziare la drammaticità della situazione.
Delusione legale
È quasi paradossale notare come, nonostante la gratuità prevista per i ricorsi all’Arbitro, la percentuale di chi si affida a un legale è schizzata al 68,2%, in netto aumento rispetto al 60% del 2023. Evidentemente, anche accettando un sistema che si auto-definisce “giusto”, i risparmiatori non riescono a fidarsi di un processo che sembra più un gioco di prestigio che una vera forma di tutela. E nonostante un tasso di esecuzione volontaria delle decisioni dell’Acf che resta elevato al 92,5%, il fatto che queste pronunce non abbiano carattere di cogenza potrebbe far sorgere dubbi sull’effettiva efficacia della giustizia offerta.
Il dramma del contenzioso
Il contenzioso dinanzi all’Acf mette in luce una realtà sorprendente: su 71 intermediari coinvolti, ben 60 sono banche, assorbendo oltre l’80% dei ricorsi. In tal modo, i primi dieci intermediari, tutti banche, accumulano più del 60% del contenzioso avviato. Ciò fa riflettere sulla concentrazione del potere all’interno del sistema bancario, dove i risparmiatori sembrano non avere voce in capitolo. Si passa da 961 ricorsi nel 2024, stabili rispetto all’anno precedente, ma dimezzati rispetto ai quasi 2000 del biennio 2017-2018. Una situazione che, stando alle dichiarazioni ufficiali, dovrebbe rappresentare una normalizzazione, ma che di fatto suona più come una battuta di pessimo gusto.
Un futuro incerto e triste
In un paese dove il sistema degli investimenti è dominato dalle banche, i risparmiatori si ritrovano sempre più soli nella loro lotta. Da un lato, si celebra l’aumento dei casi di estinzione anticipata dei procedimenti (+44,4%), frutto di accordi tra le parti. Dall’altro, resta la sensazione che queste “risoluzioni” non siano altro che una foglia di fico per nascondere i veri problemi, ben radicati nel tessuto bancario e normativo. Gli 242 intermediari convenuti dal 2017 ad oggi, rispetto ai 1.229 aderenti, non raccontano certo una storia di fiducia e stabilità.
Si arriva quindi a chiederci: quale sarà la prossima mossa? Si potrebbero pensare a riforme che realmente mettano i risparmiatori al centro del sistema, piuttosto che continuare a navigare in acque torbide tra inefficienze e promesse tradite. Forse basterebbe un pizzico di volontà politica in più e alcuni paletti reali, invece di continuare a promulgare leggi che sembrano scritte per avvocati, piuttosto che per le persone comuni. Ma ahimè, è un’utopia in un mondo dove le parole spesso hanno poco valore e le promesse svaniscono più in fretta delle amicizie in tempo di crisi.