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Ben & Jerry’s perde il suo papà in uno show di rimostranze contro Unilever e Gaza

Il piano di espansione di Israele in Cisgiordania scatena un terremoto nel tranquillo mondo del gelato. Jerry Greenfield, cofondatore dell’iconico marchio statunitense Ben & Jerry’s, dopo quasi mezzo secolo di onorata carriera decide di mollare tutto. A rivelarlo è stato il suo antico “compagno d’avventure” Ben Cohen su X, ovvero Twitter per i nostalgici. Il motivo? Pare che la gloriosa azienda, nata nel benestante Vermont nel 1978, abbia perso quella tanto decantata autonomia a favore del colosso anglo-olandese Unilever, che avrebbe repressione sociale e attivismo come hobby da ufficio legale.

Greenfield, nella sua lettera pubblica ai gentili consumatori, ha affermato di non poter più «in buona coscienza» far parte di un’azienda che è stata brutalmente “messa a tacere” da Unilever. Strano, visto che un accordo di fusione del 2000 – firmato con tanto di penna d’oro – aveva come scopo principale proprio quello di tutelare la missione sociale del brand. Secondo Jerry, quella libertà d’azione esisteva (ancora) grazie a quell’accordo speciale, una specie di patto sacro negoziato con fiumi di latte e panna tra lui, Cohen e il gigante pro-Unilever.

Ben & Jerry’s, ci tiene a ricordare il signor Greenfield, è sempre stata una voce fuori dal coro nel panorama industriale, schierandosi per la pace, la giustizia e i diritti umani. Non come frasi fatte da discorso da premio Nobel, ma riferendosi a eventi concreti nel nostro caotico mondo. Il marchio, da sempre immunizzato contro il pericolo della serietà commerciale, ha persino assunto un’aura pacifista quasi hippie, sfruttata persino in scelte di marketing originali come il gelato “Imagine whirled peace” del 2008, dedicato all’indimenticato John Lennon. Un colpo da maestro di pura dedizione politicamente corretta.

La scorsa settimana il cofondatore Ben Cohen ha aggiunto altra carne al fuoco dichiarando che, per le tensioni crescenti con Unilever, la compagnia aveva tentato di piazzare il marchio agli investitori a un valore di mercato compreso tra 1,5 e 2,5 miliardi di dollari. Proposta? Letteralmente cestinata dall’onnipotente Unilever. Insomma, un’amore-odio tra partner d’affari dove l’amore sembra essersi bruciato nell’arena del potere corporate.

Il gelo tra Ben & Jerry’s e Unilever si è congelato almeno dal 2021, quando il famigerato produttore di gelato ha annunciato lo stop delle vendite nella Cisgiordania occupata da Israele. Una mossa che ha sollevato qualche sopracciglio ma che evidentemente ha causato più di qualche brividino ai piani alti. Il marchio non si è fatto problemi a citare in giudizio il suo stesso proprietario, accusandolo di volerli imbavagliare, mentre ha definito il sanguinoso conflitto di Gaza addirittura un «genocidio». Per un colosso statunitense, non una scelta da poco, anzi uno smacco senza filtri.

Insomma, in un mondo dove tutto si piega ai numeri e agli interessi finanziari, Ben & Jerry’s sta pagando il prezzo del suo idealismo gelato. Saltare dalla vaschetta di crema paradisiaca alla pentola infuocata delle dispute geopolitiche non è certo facile, soprattutto se il tuo padrone anglo-olandese preferisce giocare a nascondino con l’attivismo sociale. Ma almeno possiamo gustarci tutto questo mentre assaporiamo un cono, riflettendo sulla sottile ironia di un’industria dolce e pacifica trascinata a schiaffi nell’aspro mondo della politica.

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