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Campus Peroni si inventa l’agricoltura supereroe tra innovazione e ricerca che promettono miracoli

Peroni e il Crea si inventano la raccolta dell’orzo 2025: tra agricoltura rigenerativa e fantomatici dati di successo

Quando si parla di raccolta dell’orzo, non poteva certo mancare il solito circo annuale targato Campus Peroni, quel geniale centro di eccellenza nato dalla collaborazione tra Birra Peroni e il Crea, che si riunisce puntualmente per farci sapere quanto il settore sia “in salute”. L’ultima edizione si è svolta a Pomezia, in una Malteria Saplo che ha fatto da palcoscenico all’ormai rituale aggiornamento sui loro due grandi progetti del momento: “Orzo futuro, per l’uso dei Dss” e “Rigenerare per produrre: sperimentazione in agricoltura rigenerativa”. Ovviamente, a rendere il tutto più prestigioso, non poteva mancare la partecipazione di una delegazione del Centro Investimenti della Fao, cioè l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, venuta a visitare la malteria come parte del loro pomposo evento di knowledge-sharing, dove gli esperti discutono di investimenti strategici con banche e accademici, probabilmente per capire come trasformare un chicco d’orzo in oro.

Il momento clou è stata la condivisione delle entusiasmanti cifre della raccolta dell’orzo 2025, che, guarda caso, si sta appena concludendo proprio in questi giorni. In mezzo a una miriade di dati, raffinati come un report di fine trimestre, è emerso un quadro decisamente positivo: “I primi dati mettono in luce livelli qualitativi e rese finalmente buoni nelle aree principali”, ha dichiarato con un entusiasmo sobrio Fabio Scappaticci, direttore di quella Malteria Saplo che sembra quasi un tempio magico dell’orzo. Ovviamente, l’unico neo è rappresentato da quelle povere regioni del sud-est del paese, vessate dalla solita carestia di piogge, dove l’orzo fa la fame. Del resto, l’agricoltura “a cielo aperto” è felice solo se il clima ci mette una buona parola: quest’anno, con una primavera baciata… dalla scarsità d’acqua ma accompagnata da temperature da forno, abbiamo assistito a una pressione fitopatologica “notevole”, che ha leggermente complicato la stagione, ma niente paura, il potenziale è alto lo stesso.”

Tradotto dal burocratese, ciò significa che mentre alcune zone sembrano un deserto, altre si difendono benino, e per questa magnifica ragione la Malteria Saplo ha già messo in cascina oltre 60.000 tonnellate di orzo distico da birra, direttamente da oltre 2.000 fortunati agricoltori italiani. Una vera manna dal cielo, peccato che il cielo stesso sia così inclemente.

Massimo Fortunato, che si presenta con il pomposo titolo di Sustainable Development Manager di Birra Peroni, ci regala la sua perla di saggezza: “Questi numeri dimostrano quanto sia vitale la filiera agricola nella birra, e quante sfide dobbiamo affrontare, e lo facciamo insieme, come una grande famiglia.” Tradotto, vorrebbe dire: stiamo facendo tutto il possibile per sopravvivere, in un mondo che cambia, ma non così velocemente da spaventarci del tutto. Parte delle loro “grandi strategie” includono la digitalizzazione – perché niente dice ‘futuro’ come un software nuovo –, e l’introduzione di sistemi innovativi di cui per il momento non si sa molto, ma che sicuramente arriveranno carichi di speranze e burocrazia.

Ah, il magico mondo dei Decision Support System, o Dss per gli amici, quei sistemi rivoluzionari che dovrebbero far risparmiare fatica (e forse cervello) agli agricoltori. Il progetto Orzo Futuro non lesina in ambizione: per la stagione 2024/2025 ha gettato la sua rete su ben oltre 750 agricoltori, sperando di trasformarli in supereroi della competitività e della sostenibilità ambientale, ovviamente condita da una spruzzata di adattamento al cambiamento climatico.

La ciliegina sulla torta? L’assemblaggio di una massa di dati, raccolti anche grazie a stazioni meteo piazzate strategicamente sui campi. Con queste fortune tecnologiche, i Dss sono lì a suggerire quando e quanto distribuire fertilizzanti, nutrienti e, perché no, un po’ di buona volontà agronomica. L’obiettivo ufficiale è quello di minimizzare risorse impiegate e complicare il meno possibile la vita degli agricoltori, mentre si promette di elevare la qualità, la produzione e – ciliegina finale – la sostenibilità.

Tra le meraviglie prodotte dai dati, spicca una riduzione media del 24% di CO2 equivalente per ettaro in un solo anno, passando dalla stagione 2022/2023 alla 2023/2024. Numerical fantasy? Forse, ma almeno fa effetto quando viene messo nero su bianco. Evidentemente gli agricoltori di orzo distico partecipanti si sono trasformati in eroi climatici senza volerlo.

Ovviamente, l’incontro non poteva chiudersi senza una parentesi sull’ultima frontiera del progresso: il progetto “Rigenerare per produrre”. Una golosa miscela di agricoltura rigenerativa che unisce le “buone pratiche del passato” (avete capito bene, si parla di rotazione delle colture, quella roba che i contadini fanno da sempre) e la scienza moderna, condita da digitalizzazione. Questo cocktail promette di “rigenerare” un terreno stanco e affaticato, mentre declama a gran voce la salvezza della biodiversità e la razionalizzazione delle risorse – perché evidentemente senza algoritmi non si può più respirare.

L’agricoltura rigenerativa si presenta come il cavalier servente che dovrebbe risolvere ogni male dell’agricoltura moderna: un approccio che vuole trasformare il terreno da fattore degrade in una specie di farmacia naturale, con addirittura la promessa di creare un sistema più sostenibile non solo ambientalmente, ma anche economicamente e socialmente. Chi non lo vorrebbe?

Il progetto, disseminato in tre campi sperimentali sparsi per il centro-sud d’Italia, si snoderà lungo tre anni gloriosi. Lo scopo? Raccogliere dati “tecnicamente solidi” per sostenere la ricerca sui benefici effettivi della pratica, con parametri d’eccezione come la salute del suolo, la soddisfazione (vero!) degli agricoltori, la biodiversità e persino gli impatti ambientali. Non manca nemmeno la speranza segreta di scoprire quanto carbonio si possa sequestrare: un aspetto così importante da meritarne ulteriori, misteriose valutazioni future.

Preparatevi a veder sbucare i risultati preliminari in pompose analisi e comunicazioni nell’ultimo trimestre dell’anno, quando, con un po’ di fortuna e tanta fede, si potrà finalmente celebrare l’ennesimo passo verso un’agricoltura ultravirtuosa, rigenerata e, inevitabilmente, digitalmente assistita.

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