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Dior, Chiuri fa le valigie: chi avrà il coraggio di raccogliere il testimone?

Gli addii nel mondo della moda di solito avvengono in sordina, con qualche comunicato breve e frasi di gratezze disperse qua e là. Ma il congedo di Maria Grazia Chiuri da Dior è tutt’altro che sottotono: è il botto finale di un’epopea lunga nove anni, che ha stravolto faccia e voce di una delle maison francesi più celebri al mondo. Quando nel 2016 venne designata direttore creativo delle collezioni femminili, dopo aver lavorato a lungo con Pierpaolo Piccioli a Valentino, Maria Grazia Chiuri divenne la prima donna a ricoprire questo incarico nella storia della casa fondata da Monsieur Dior nel 1946.
LA RIVOLUZIONE IN DIOR
Durante il suo percorso, non si è limitata a disegnare abiti: ha trasfigurato ogni passerella in un manifesto. ‘We Should All Be Feminists’ sfoggiava la t-shirt che aprì la sua prima sfilata. Un omaggio all’omonimo saggio di Chimamanda Ngozi Adichie, che sviscera il tema del femminismo e della disparità di genere. Da quel punto, la moda sotto la sua direzione è diventata una vera e propria dichiarazione di intenti e provocazione. Ma anche attivismo sociale e culturale, perché sì, chi se ne frega della superficialità. Chiuri ha messo mano agli archetipi di Monsieur Dior – il tailleur Bar, la silhouette a corolla – e li ha fatti sfilare accanto a sandali gladiatore, anfibi e slogan politici. Non ha mai nascosto di voler reinterpretare la femminilità con uno sguardo contemporaneo, coinvolgendo artiste e intellettuali, da Judy Chicago a Carla Lonzi, e costruendo nel contempo un’estetica di potere gentile e consapevole.
LE COLLABORAZIONI FUORI DALLA PASSERELLA
Chiuri ha lasciato un segno ben visibile anche al di fuori delle passerelle, grazie a collaborazioni memorabili e progetti speciali che hanno portato la sua visione oltre i confini della moda. Indimenticabile è il vestito da sposa disegnato per Chiara Ferragni nel 2018, un abito che ha fatto il giro del web e subito è diventato un cult digitale. Con Ferragni, ha collaborato ancora in occasione di Sanremo 2023, creando una serie di abiti-manifesto: dall’illustrazione del corpo femminile ‘liberato’ fino alla ‘gabbia’ dorata che simboleggia i vincoli sociali. Un’altra perla è stato il contributo ai costumi per il ‘Jova Beach Party’ e per l’ultimo tour di Jovanotti, dove ha saputo unire l’energia travolgente del pop con l’eleganza concettuale dell’alta moda.
LE COLLEZIONI PIÙ ICONICHE E IL LASCITO
Tra le collezioni che rimarranno nel ricordo comune, spiccano la primavera-estate 2020, ispirata alla sostenibilità e ai giardini, la Cruise 2020 a Marrakech, un omaggio all’artigianato africano, e la Cruise 2022 ad Atene, tra evocazioni classiche e guerriere contemporanee; tutte hanno ribadito una direzione artistica che ha sempre privilegiato il significato sopra lo spettegolare. Sotto la sua direzione, le vendite del marchio hanno raggiunto vette altissime, prima di una flessione nell’ultimo anno. Ma l’eredità di Chiuri va ben oltre i numeri: ha trasformato Dior in un marchio ‘impegnato’, sensibile alle questioni sociali e femminili.
I RUMORS SULL’ADDIO E IL FUTURO
Per gli addetti ai lavori, l’uscita di scena da Dior di Chiuri non è stata una doccia fredda. Negli ultimi mesi, voci insistenti sul suo imminente addio si sono fatte strada, e la lacuna è stata finalmente confermata solo ora, a due giorni dalla sfilata Cruise 2026 a Roma, la sua città natale. Una collezione sospesa nel tempo, ispirata a un ballo anni ’30, presentata nella sfarzosa Villa Albani Torlonia. Con lei, un cast di attrici internazionali e la collaborazione con i maestri di Tirelli Costumi: più che una sfilata, un vero tributo. E, come avevano sospettato alcuni addetti ai lavori, si è trattato di un saluto scenografico.
E per il futuro? Dior non ha ancora comunicato chi assumerà il timone creativo – tra i nomi più chiacchierati spicca quello di Jonathan Anderson, mente geniale di JW Anderson e ex creativo di Loewe, ora a capo di Dior Uomo. Quanto a Chiuri, potrebbe tornare dove tutto è cominciato: da Fendi, si vocifera, o magari nella scena culturale romana, dove ha collaborato attivamente al restauro del Teatro della Cometa insieme alla figlia. In ogni caso, con l’addio della prima donna alla guida di Dior, se ne va una delle poche che ha usato la moda non solo per vestire, ma per raccontare, sfidare cliché e guidare il cambiamento.