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E-commerce in Italia: la favola dei 150 miliardi e 1,8 milioni di lavoratori fantastici, ma chi ci crede ancora?

L’e-commerce si conferma il potente motore nascosto dietro la crescita economica dell’Italia, posizionandosi come un protagonista fondamentale non solo per l’economia ma anche per la società e l’ambiente. Parliamo infatti di un impatto totale di ben 150,1 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 88,6 miliardi, che corrisponde – udite udite – al 7% del Prodotto interno lordo nazionale. Una crescita del 6,6% sull’anno precedente che, evidentemente, lascia poco spazio ai nostalgici della carta e delle vetrine tradizionali.
Se dividiamo questo colossale risultato troviamo tre ingredienti essenziali: 58,9 miliardi di euro generati direttamente dalle attività di vendita online, 50 miliardi che derivano dall’indotto ovvero l’effetto a catena di fornitori e servizi correlati, e infine 41,2 miliardi di ricadute indotte, cioè l’effetto domino positivo su tutto il sistema economico italiano, dal meccanico al barista di quartiere. Decisamente un ecosistema che funziona come una perfetta macchina organizzata, a patto di saperla alimentare e regolare.
Questa pietra miliare emerge dall’ultima edizione dello studio “L’e-commerce crea valore per l’Italia”, realizzato da Netcomm, il consorzio di riferimento del commercio digitale nel nostro paese, in collaborazione con la società di consulenza strategica e ricerca economica Althesys. Il rapporto, presentato a Roma durante il convegno “La Rete del Valore del Commercio Digitale per l’Italia e l’Unione Europea”, offre un’analisi approfondita dell’intero comparto delle vendite online, mettendo sotto la lente la capacità dell’e-commerce di produrre non solo ricchezza, ma un benessere diffuso e – come da mantra moderno – sostenibilità lungo tutta la filiera produttiva e distributiva nazionale.
Roberto Liscia, presidente di Netcomm, non usa mezzi termini nel descrivere l’importanza di questo settore: “L’e-commerce è oggi uno dei settori più dinamici e ad alto potenziale dell’economia italiana: il digitale rappresenta addirittura il 7% del PIL nazionale, con ricadute positive e in costante crescita su occupazione, innovazione e sostenibilità fiscale. Le imprese mostrano brillantezza nella crescita, una resilienza quasi eroica e una spiccata capacità di reazione anche nei momenti più complicati, grazie a modelli collaborativi e un lavoro di rete che fa sembrare il termine ‘network’ un povero eufemismo.”
Liscia sottolinea come il concetto di “rete del valore” non sia mera retorica, ma confermato dall’andamento consolidato in dieci anni: “Il sistema cresce oltre le fluttuazioni temporanee. La singola impresa si rafforza perché inserita in una filiera interconnessa che tiene insieme competenze, posti di lavoro, fiscalità, export e innovazione.” Una delizia per qualsiasi analista del mercato, se solo volessimo credere che tutti questi anelli della catena collaborino in armonia e non solo a suon di promesse elettorali.
Ma la melodia non sarebbe completa senza la solita preghiera (ma stavolta strategica) per interventi pubblici: “Il settore ha bisogno di politiche che sostengano un ecosistema in grado di generare valore e che favoriscano l’export soprattutto in questo periodo in cui le barriere globali cambiano più velocemente di un trend Instagram.”
La sfida, ribadisce Liscia, è tutta incentrata sulla digitalizzazione delle piccole e medie imprese, il cuore pulsante del tessuto imprenditoriale nazionale. Queste realtà, spesso arcaiche e timorose dei cambiamenti, richiedono formazione, accompagnamento e stimoli concreti per riuscire a farsi strada anche sui mercati internazionali, dove la competizione è spietata e l’adattamento rapido il vero ago della bilancia.
Ah, l’e-commerce, quel fantastico gioiellino dell’economia italiana che non solo cresce come un campione di body building digitale, ma si vanta anche di portare benefici disseminati ovunque nel nostro bel Paese. Benefici per i consumatori, un vero turbo per le piccole e medie imprese, e per non farsi mancare nulla, un sostegno alle esportazioni. Insomma, una vera macchina del valore condiviso secondo Alessandro Marangoni, CEO di Althesys e presidente dello Shared Value Institute, che è chiaramente entusiasta di raccontarci che “a un euro di valore aggiunto degli online seller ne corrispondono tre per l’intero sistema” coinvolgendo quasi il 7% degli occupati italiani. Tre per uno, mica male vero?
Francesca Pellizzoni, manager programmi Made in Italy e supporto alle PMI di Amazon.it, rincara la dose presentandoci il gigante americano come il miglior amico delle PMI italiane, con investimenti da capogiro oltre i 20 miliardi di euro e 19.000 posti di lavoro stabili creati in quindici anni. Fantastico, quasi da far dimenticare che si tratti comunque di una multinazionale con un solo obiettivo: dominare ogni angolo del mercato. Oltre 21.000 PMI italiane fanno parte dell’ecosistema Amazon, con programmi tipo la vetrina Made in Italy e “Accelera con Amazon” che sembrano il modo perfetto per caricarsi sulle spalle la digitalizzazione e l’internazionalizzazione – perché, ovviamente, nessuno può farlo da solo.
La ricerca mette in chiaro la formula magica: a ogni euro aggiunto direttamente dall’e-commerce corrispondono tre euro di benefici per il sistema italiano, inclusi effetti diretti, indiretti e indotti. Un moltiplicatore che fa sembrare il commercio digitale la panacea per tutti i mali produttivi, così interconnesso e sistemico da far invidia all’Unione Europea.
E vogliamo parlare del contributo fiscale? Sfavillante: 44 miliardi di euro, ovvero il 7,7% delle entrate fiscali italiane nel 2023. Insomma, senza e-commerce si bloccherebbe la spesa pubblica e il benessere collettivo, un pilastro del nostro sistema. E i numeri di occupazione? Ben 1,8 milioni di lavoratori coinvolti direttamente o nell’indotto, pari al 6,8% degli occupati, con una crescita del 15% tra il 2022 e il 2023. Non male per un settore che promette lavoro a go-go.
Ma come è composto questo esercito? 310.000 persone nella catena dei fornitori, 542.000 come retailer, brand e marketplace, e infine 319.000 che si occupano delle delizie della logistica, consegna e pagamento. E la torta economica? Il segmento upstream, cioè servizi informatici, consulenza e marketing, si porta a casa 35,5 miliardi, il cuore commerciale – gli online seller – domina con 79 miliardi, mentre logistica e pagamenti aggiungono altri 35,6 miliardi. Che bello scoprire come un po’ di tutto – dal software all’imballaggio – produce del valore, tutti complici felici di un’economia digitale che promette benessere per tutti.
Per quanto riguarda la fetta consumatori, nel 2024 il 44,3% degli italiani sopra i 14 anni ha fatto almeno un ordine online, con un balzo di dieci punti percentuali dal 2019. Non è mica solo per “risparmiare tempo” o per “l’ampiezza dell’offerta”, ma anche perché prezzi trasparenti e competitivi fanno brillare gli occhi di noi acquirenti. Ovviamente, anche se si tratta di un settore giovane, il capitale umano sta avendo la sua fetta di protagonismo, grazie a contratti nazionali, formazione continua e programmi di upskilling digitale: in poche parole, si fa innovazione e si salva la pelle dei lavoratori di oggi e di domani.
Ma non finisce qui. L’e-commerce si fa pure paladino di modelli di consumo circolari e sostenibili. Addio vecchi camion fumanti, benvenuti veicoli elettrici e packaging riciclabile. Proprio così, l’Italia si prepara a rispettare il Regolamento UE 2025/40 che punta al 40% di packaging riutilizzabile entro il 2030, e già oggi la maggioranza degli imballaggi usati nell’e-commerce è cartone ondulato. Finalmente una buona notizia in mezzo a tanta digitalizzazione sfrenata.