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EasyJet naufraga tra scioperi e benzina cara, investitori fuggono abbandonando l’8% del valore in Borsa

Lo sciopero dei controllori di volo francesi all’inizio di luglio, insieme all’aumento vertiginoso del costo del carburante, rischia di lasciare un segno pesante sulle finanze di easyJet, la compagnia low cost britannica che ha già visto il suo titolo sprofondare in Borsa fino all’8%. Con la pubblicazione dei risultati del terzo trimestre, terminato a giugno, il vettore cerca di nascondere dietro un’apparenza di crescita una realtà meno scintillante.
Per il trimestre, l’utile lordo è aumentato del 21,2%, raggiungendo i 286 milioni di sterline, sostenuto principalmente dal periodo pasquale. Il fatturato ha toccato 1,758 miliardi di sterline, in crescita del 9,7%, con quasi 26 milioni di passeggeri trasportati, un incremento del 9% rispetto all’anno precedente. Bene anche i ricavi accessori – quelli per bagagli e posti prenotati – con 732 milioni (5,6% del totale) e la divisione Holiday che vola con un +27,4% a 428 milioni.
Ma non si faccia l’errore di credere che tutto fili liscio: Kenton Jarvis, CEO di easyJet, non ha perso occasione per esprimere il suo sdegno – tutto sommato un po’ tardivo – per il caos causato dallo sciopero dell’ATC francese il 3 e il 4 luglio. Un’azione che, secondo Jarvis, non solo ha creato un’autentica odissea per clienti e staff, ma ha anche scaricato un fardello di 10 milioni di sterline sulle casse della compagnia, proprio all’avvio della stagione di punta dei viaggi in Europa.
Nonostante il 67% della capacità per il quarto trimestre sia già stata venduta, la compagnia prevede una perdita netta di circa 25 milioni di sterline per questa combinazione micidiale di sciopero e caro carburante. In altre parole, quei fastidiosi scioperi che paralizzano i cieli europei e il petrolio a prezzi da capogiro stanno facendo il gioco sporco a danno dei bilanci di easyJet, molto più di quanto l’ottimismo aziendale voglia far trasparire.
A complicare ulteriormente la vista, alcuni analisti già si affrettano a rivedere al ribasso le stime sull’anno fiscale, evidentemente poco convinti che sia tutto sotto controllo. L’innalzamento dei costi operativi e le incertezze politiche – soprattutto quella che si sta consumando in Medio Oriente – stanno mettendo i passeggeri in modalità procrastinazione: la gente si prende più tempo del dovuto prima di staccare il biglietto.
Il conflitto in Medio Oriente ha poi fatto il resto, intaccando la domanda verso destinazioni un tempo calde e ambite come Turchia, Egitto e Tunisia, dove le prenotazioni sono calate drasticamente a seguito dell’escalation bellica. Jesper Jarvis riconosce la flessione, ma prova a gettare acqua sul fuoco assicurando che la domanda verso questi mete stia mostrando i primi timidi segnali di ripresa, forse un tentativo piuttosto ingenuo di mantenere alto il morale degli investitori e dei viaggiatori ottimisti.
In sintesi, easyJet si trova nel mezzo di un perfetto temporale fatto di scioperi, costi che schizzano, incertezze geopolitiche e consumatori indecisi. Un cocktail a cui non ci si aspettava potesse dare una scossa così forte alla cosiddetta “buona crescita degli utili” che la compagnia aveva ancora nel mirino per l’anno fiscale in chiusura a settembre. Chissà quanto durerà questo inguaribile ottimismo da business low cost fatto di voli sempre più “easy” da prenotare ma sempre più difficili da gestire.