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Ecco il miracoloso marchio collettivo organico Biorepack che promette di salvare il mondo (o almeno provarci)

Un marchio nuovo di zecca per riconoscere gli imballaggi compostabili firmati dal consorzio Biorepack: un semplice disegno di una mano che butta un torsolo di mela in un contenitore dell’umido, accompagnato dalla scritta “organico biorepack”. Un simbolo minimale, immediato e praticamente impossibile da non notare. A lanciarlo durante il II Forum Italiano delle bioplastiche compostabili è stato il presidente Marco Versari, con un obiettivo tanto ambizioso quanto ovvio: una certificazione visiva che consenta a chi fa parte del consorzio di mostrarsi con orgoglio in modo semplice e riconoscibile.

Versari non perde tempo e spiega il senso profondo di questo nuovo badge: dimostrare che “ci siamo”, che le aziende coinvolte nella filiera si assumono la responsabilità di chiudere il ciclo di vita degli imballaggi compostabili proprio nell’organico. Il marchio include il nome Biorepack e l’indicazione ‘organico’, un chiaro segnale rivolto ai cittadini per aiutarli a non sbagliare nella raccolta differenziata, con la promessa che “è volontario e gratuito”, come se fosse davvero un gesto eroico che va sottolineato.

Chiarisce poi la necessità di semplificare la vita al cittadino medio, affinché capisca senza troppi dolori dove buttare quell’imballaggio: “Dobbiamo far capire al cittadino che è partecipe”. Poi, come ciliegina sulla torta, la nuova immagine nasce da una collaborazione tra diversi attori, tra cui la famosa società di consulenza Deloitte e l’agenzia creativa Connexia. Insomma, dietro quell’icona minimalista c’è un bel giro di consulenze per rendere tutto più ‘fashion’ e comunicabile.

Non poteva mancare un po’ di numeri, che servono sempre per poter parlare di successo: secondo Versari, il sistema Biorepack “è il primo sistema nazionale per la raccolta e il riciclo degli imballaggi compostabili”, con una copertura che ormai sfiora l’85% della popolazione italiana. Dati che suonano bene a orecchio, specie se aggiungiamo che la filiera funziona, come lui stesso afferma, elargendo risorse ai comuni impegnati nella raccolta.

Per confermare l’efficienza, arrivano anche le percentuali da record: un tasso di riciclo che si avvicina al 60% — un valore da far girare la testa a chi ambisce agli obiettivi fissati per il 2030, già superati. In soldoni: il sistema funziona, il messaggio è chiaro, il cittadino è stato un attore volenteroso (o quantomeno messo nelle condizioni di esserlo), e tutto procede spedito verso un futuro più green, almeno sulla carta.

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