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Ex Ilva, arriva l’accordo che tutti aspettavano (o almeno così dicono): Urso parla di giornata epica, ma chi ci crede?

Ex Ilva, ministero e sindacati rinviano la firma dell’accordo: tecnicismi e costi rimescolano le carte
Articolo riformulato:Altro giro, altra attesa al ministero delle Imprese e del Made in Italy: l’accordo di programma sull’ex Ilva resta nel limbo, o meglio, non è ancora stato firmato. Il tavolo di confronto con gli enti locali promette di riprendere martedì 15 luglio, stavolta con i sindacati al completo, in un prolungato procrastinare che sa tanto di “prendiamo tempo”. La scusa ufficiale? Valutare con calma gli aspetti tecnici di due ipotesi emerse dopo un incontro di otto ore con il ministro Adolfo Urso. Naturalmente, questa indecisione rischia di spostare anche la conferenza dei servizi prevista per il 10 luglio, quella che dovrebbe decidere sull’autorizzazione integrata ambientale (AIA), e che senza di sé minaccia di chiudere gli impianti di Taranto in virtù della sentenza del Tribunale di Milano, chiamato a far rispettare la storica decisione della Corte di Giustizia europea.
Un passo avanti o solo un altro capitolo di questa infinita telenovela? Il ministro Urso non si perde d’animo e celebra questa “giornata importante, decisiva e storica” per il futuro della siderurgia italiana e di Taranto. Per lui, la trasparenza e la condivisione hanno finalmente creato un clima “costruttivo” che potrebbe portare alla firma di un accordo definito addirittura “storico” già martedì prossimo. Peccato che le due opzioni sul tavolo non siano poi così rivoluzionarie, ma piuttosto una difficile partita a scacchi tra decarbonizzazione e costi da tenere d’occhio.
Entrambi gli scenari prevedono tre forni elettrici a Taranto, una produzione limitata a 6 milioni di tonnellate di acciaio entro il primo trimestre 2026 e tempi ridotti per la decarbonizzazione (otto o sette anni, a seconda del caso). La prima opzione richiede tre Dri (direct reduced iron) prodotti localmente e una nave rigassificatrice dedicata a fornire il gas necessario per il preridotto. Se tutto va bene, si risparmierebbero quattro anni rispetto ai 12 originariamente previsti. Nel secondo scenario, sempre tre forni elettrici ma i Dri vengono prodotti altrove da una società terza, Dri Italia, con un accordo di servizio. Qui invece la riconversione si allunga a sette anni.
Ovviamente, non è tutto rose e fiori: come spiega Urso, è cruciale mantenere continuità produttiva, quota di mercato, forniture ai clienti e livelli occupazionali. Facile da dire, meno da realizzare. D’altro canto, la fatidica nave rigassificatrice non è certo a buon mercato. Alimentare i Dri via gasdotto o rigassificatore fisso è più economico sia in termini di installazione sia di costi operativi, mentre affidarsi a una nave – in porto o al largo – fa lievitare vertiginosamente i conti. Insomma, mentre si scontano i ritardi e si cercano compromessi tecnici, la politica si diverte a rimescolare questa bolletta ambientale e industriale senza svelare ancora nulla di concreto.
In attesa che arrivino “ulteriori chiarimenti” promessi dal ministro, ci si prepara quindi a un altro round decisivo, forse l’ennesimo giro di valzer che si spera, questa volta davvero, conduca a una firma definitiva. Ma per ora, resta soltanto un’ennesima fumata grigia dalla tana degli intoppi burocratici e delle contraddizioni di un settore che sembra destinato a navigare nel limbo del “forse” ancora per un po’.
La ciliegina sulla torta arriva con l’annuncio scintillante di avviare “dal prossimo anno il primo forno elettrico e magari il primo Dri, sia a Taranto che altrove”. Tutto sulla carta, ovviamente, perché la “piena responsabilità” chiesta a tutte le istituzioni suona più come un passaggio di patata bollente che come un reale impegno.
E per non lasciare nulla al caso, si apre persino la porta a un quarto altoforno: non più solo i tre di Taranto, ma anche uno a Genova. Perché, si sa, un impianto qua e uno là fa sempre comodo, specialmente quando si tratta di “creare le condizioni affinché gli investitori possano eventualmente realizzare un forno elettrico per la Liguria e il Nord”. Tradotto: promessa sospesa in aria e delega passata a ignoti investitori.
Scenari da manuale del “fare”
Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ci regala il bis: “Questa prima giornata può essere considerata abbastanza soddisfacente, abbiamo definito due scenari fondamentali”. Bella soddisfazione, vero? Peccato che poi si rivolga alle opposizioni come un professore che cerca disperatamente l’approvazione di una classe sonnacchiosa: ho informato i tre segretari dei partiti (quelli che fanno opposizione, per intenderci), e li esorto a dirmi cosa ne pensano. Nel frattempo, la decisione è “autonoma e prescinde dal giudizio dei partiti”, ma eh, per favore, almeno non lasciatemi solo. Cuore in mano, grazie.
Non manca l’elogio al ministro Urso, che ha avuto l’ineffabile umanità di accogliere la richiesta di aggiornamento della situazione e di includere nel confronto sindacati e altre sigle, probabilmente per evitare di parlare da soli. Il sindaco di Taranto insinua che “il territorio non può sopportare periodi lunghi di decarbonizzazione”, chiedendo quindi di accorciare i tempi che, guarda caso, nel suo immaginario partono da sei anni. Sei anni! Un battito di ciglia se confrontato con i tempi biblici della burocrazia italiana.
Insomma, tra promesse di manutenzioni interminabili, altoforni a singhiozzo, scenari da teatrino e tempi di decarbonizzazione misurati in ere geologiche, ci troviamo davanti all’ennesima farsa che presenta sé stessa come un’opportunità. Bravi, continuiamo così: all’insegna della grande responsabilità condivisa… e scaricata diligentemente su altri.