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Finalmente l’intelligenza artificiale guarda al nostro futuro: peccato che la pensione sia solo un miraggio digitale

Non servirà più soltanto al lavoratore premere il tasto “fine giornata”: ora il suo gemello digitale sarà pronto a prendere il suo posto, continuando a far girare la ruota del valore anche dopo il suo addio all’ufficio. Questa è la scintillante visione dipinta da Valeria Vittimberga, direttrice generale dell’Inps, che ci racconta un futuro dove l’intelligenza artificiale personale non è solo una figura da fantascienza, ma un vero e proprio collaboratore post-pensionamento.
“Il mondo digitale avanza a una velocità che le nostre vecchie regole faticano a seguire”, ha spiegato la signora Vittimberga, sintetizzando un paradosso ormai evidente: nel valutare un lavoratore, non si può più guardare soltanto alle ore trascorse in ufficio, ma bisogna considerare quel tesoro intangibile fatto di dati, connessioni e contributi “computazionali” che continuano a fluire anche quando il badge è stato lasciato sul tavolo.
L’Italia, gloriosa terra di anziani longevi, si trova a fare i conti con un sistema pensionistico che non può più ignorare la realtà demografica: gli over 70, lungi dall’essere un peso morto, partecipano sempre più attivamente al Prodotto Interno Lordo. In alcune regioni, come Lombardia e Veneto, circa lo 0,5% del PIL è prodotto da pensionati che decidono di non appendere ancora le scarpe al chiodo.
Ma la rivoluzione non si ferma qui: i giovani, quelli che teoricamente dovrebbero sostenere tutto il sistema, scelgono spesso di non rispettare la tradizionale età di uscita dal lavoro. C’è chi, abbracciando movimenti come il FIRE (Financial Independence, Retire Early), punta a sparire dal mercato del lavoro il prima possibile grazie a risparmi maniacali e investimenti strategici. Insomma, i tempi cambiano, e con loro anche la “pensione” diventa un concetto decisamente più elastico e sfumato.
Il valore invisibile che non va in pensione
Secondo la visione iper-tecnologica di Vittimberga, l’”intelligenza artificiale personale” non è un semplice gadget o un assistente virtuale: diventa un ‘asset’ vero e proprio, un bene digitale capace di generare reddito anche quando il suo “originale umano” si gode il meritato riposo. Immaginate il confine tra lavoro e pensione non più come una linea netta, ma come una sfumatura digitale gestita da noi e dai nostri alter ego artificiali.
La nozione che “contano solo gli anni di servizio” fila sempre più sottile davanti a questo modello dove ciò che vale è il “valore aggiunto” che si produce e si conserva nel tempo, in forma digitale e monetizzabile. Un’idea tanto coraggiosa quanto inquietante: e se fossero i nostri gemelli digitali a continuare a versare contributi previdenziali quando noi, beh, siamo… in vacanza per sempre?
Giovani sempre più rari, intelligenza artificiale sempre più strategica
In un mondo in cui le nuove generazioni scarseggiano come acqua nel deserto e diventano risorsa preziosa per mantenere in piedi le macchine produttive e sociali, l’adozione di intelligenze artificiali “personali” si trasforma in un’inattesa ancora di salvezza per la sostenibilità economica del welfare. Una trovata non solo futuristica ma, ad essere onesti, quasi una necessità drammaticamente attuale.
Dietro a questa promessa di rivoluzione digitale si nasconde una realtà impietosa: la pressione sui conti pubblici e il cambio strutturale che ci costringono a ripensare regole ormai vetuste. La tecnologia, come al solito, si propone quale ponte tra un passato fatto di rigidezza e un futuro che, forse, saprà valorizzare ogni fase della vita lavorativa, digitale inclusa.