Notizie
Focus sulla gestione a lungo termine perché il caos a breve termine era troppo mainstream

No allo “shortismo”. Tradotto in parole povere: basta con la pubblicazione obbligatoria dei dati di bilancio trimestrali, quei malefici appuntamenti che, secondo alcuni “esperti”, distraggono i manager da una gestione aziendale seria e di lungo respiro e che, come ciliegina sulla torta, alimentano la speculazione sfrenata di trader iperveloci. A questo spunto geniale si è aggrappato nuovamente Donald Trump, che ha ripreso a spingere per abolire, proprio per le aziende di Wall Street, quell’obbligo tutto sommato raffinatissimo di rendicontare utili ogni quarter.
I maligni, però, spiegano ben altro: non si tratta affatto di un’onesta voglia di “corretto management” ma piuttosto di un tentativo di deregolamentazione a basso costo. Insomma, meno sofferenze burocratiche, meno controlli e più spazio per il divertimento selvaggio negli affari. Ieri, per completare il quadro, il tycoon ha pubblicato su Truth Social un soliloquio, enfatizzando il risparmio economico e, dulcis in fundo, la necessità che i capitani d’impresa si concentrino “sulla corretta gestione delle loro aziende”. Davvero poetico, vero?
Una riforma dal passato storico ma dubbio futuro
Schiacciando il pedale dell’ironia, chiariamo una cosa: la volontà di Trump di rivedere la venerata pratica americana delle trimestrali è palese. Ma, come sempre nel gioco delle lamentele e del potere, si tratta di un’operazione che richiede l’ok di quell’Imperatrice delle regole finanziarie chiamata Securities and Exchange Commission (SEC). Ecco la chicca: dal lontano 1970, tutte le società quotate nelle borse a stelle e strisce devono sottomettere i loro risultati trimestrali alla SEC, un appuntamento quasi sacro.
Benché pochi lo sappiano fuori dagli Stati Uniti, la nuova proposta ha trovato il suo terreno fertile al Long-Term Stock Exchange, che si è preso la briga di presentare una petizione alla SEC per spezzare queste catene burocratiche, offrendo alle aziende la facoltà di limitare le comunicazioni solo a due momenti l’anno: il semestre e il bilancio finale. Finalmente, anche la Casa Bianca decide di smuovere questo teatrino di numeri trimestrali.
Chi applaude la fine del quartiere dei bilanci
Questa rivoluzione, per chi cerca un senso in tutto questo, sarebbe un cambio epocale nelle regole di corporate governance, avvicinando gli Stati Uniti a una certa grazia europea – come nel Regno Unito o in molte parti d’Europa – dove i dati trimestrali non sono affatto un’imposizione sacrosanta. Basti pensare, giusto per fare un nome, all’Italia, dove la pubblicazione trimestrale è praticamente un optional per le società quotate, regolata dall’articolo 82-ter del Regolamento Emittenti.
Tra chi sostiene questa follia al ritmo di due bilanci l’anno, troviamo nomi altisonanti come Jamie Dimon, CEO di JPMorgan Chase, e Warren Buffett, che considerano la pressione trimestrale un vero freno alle scelte strategiche più lungimiranti. Certo, perché niente sprona più una visione lungimirante di una scadenza fiscale dietro l’angolo.
Il declino delle aziende quotate: un dramma tutto americano
Il vento del cambiamento, comunque, soffia su uno scenario decisamente fosco: la quantità di società quotate negli Stati Uniti è in declino strutturale. Secondo il Center for Research in Security Prices, a giugno c’erano poco più di 3.700 società in lista, il 17% in meno rispetto a tre anni fa e, ciliegina amara, metà rispetto al 1997. In sostanza, la burocrazia della quotazione è diventata quel cacciavite arrugginito che molte imprese preferiscono scansare, scegliendo di rimanere private o di vendere tutto piuttosto che affrontare l’odissea dei mille adempimenti richiesti dalla Borsa.
Insomma, più che un’opportunità vantaggiosa, la quotazione appare come un percorso a ostacoli, costoso e dilatato nel tempo, che continua a erodere la voglia di competere sul grande mercato finanziario. E qui sta la vera perla del ragionamento: vietiamo le trimestrali così magari la gente torna a fare azioni da impresa e non da casinò della speculazione.