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Giugno porta incredibilmente il debito pubblico a quota record da 3.070,7 miliardi: e intanto noi cosa facciamo?

Il debito pubblico italiano ha fatto un altro salto da gigante: a giugno è cresciuto di 18 miliardi, superando la soglia impressionante di 3.070 miliardi di euro. Se vi aspettate che questo aumento sia roba da poco, vi sbagliate di grosso. È il risultato combinato di un fabbisogno pubblico crescente, un piccolo incremento delle riserve liquide del Tesoro e quello che potremmo chiamare il “tocco magico” degli scarti e premi sui titoli, rivalutazioni legate all’inflazione e variazioni nei tassi di cambio.

Ma andiamo con ordine: il debito delle Amministrazioni centrali è esploso di quasi 20 miliardi, mentre quello delle Amministrazioni locali si è ridotto di qualche spicciolo, circa 1,7 miliardi. Gli Enti di previdenza, che forse pensavamo stessero tirando la cinghia, sono invece rimasti praticamente fermi al loro posto. La vita media residua dei titoli, quella che qualcuno considera “l’età della saggezza” del nostro debito, non si è scomposta e resta saldamente a 7,9 anni.

Ma a chi appartiene questo mastodontico debito? Beh, la Banca d’Italia continua a ridurre la sua quota, scendendo al 19,6% dal 20% del mese precedente. Nel frattempo, gli investitori esteri non si tirano indietro e aumentano la loro fetta, arrivando al 33,2%. Famiglie e imprese italiane, invece, sembrano meno entusiaste, tagliando la loro esposizione al 14,1%.

In mezzo a questo marasma di numeri da capogiro, ci sono anche le entrate tributarie, che a giugno hanno segnato un modestissimo aumento del 4,2%, salendo a 43,8 miliardi. Nei primi sei mesi del 2025, queste entrate hanno accumulato un incremento del 3,4%, fermandosi a quota 257,3 miliardi. Un piccolo applauso per lo sforzo, ma sappiamo tutti che non basta per compensare la fame insaziabile del debito.

Insomma, il quadro è questo: un debito che cresce ai ritmi di una locomotiva impazzita, una gestione delle risorse che si tenta di mascherare con la retorica delle “quotazioni” e degli “investitori non residenti”, e un sistema fiscale che tenta di rincorrere la voracità delle casse pubbliche. La domanda resta: quanto può andare avanti così senza che qualcuno chieda finalmente conto di questo circo impazzito?

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