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Gucci chiama Fabry alla guida commerciale e il circo delle disavventure inizia

Gucci chiama Fabry alla guida commerciale e il circo delle disavventure inizia

Nel favoloso mondo scintillante del lusso internazionale, dove ogni decisione viene ponderata tra un flute di champagne e un power point da urlo, Gucci ha deciso, giusto un anno fa, di mettere al timone commerciale Cayetano Fabry. Un nome che suona come la promessa di cambiamenti rivoluzionari, non fosse che il suo curriculum sembra più una collezione di tapasci sulla strada del successo: ex Saint Laurent, ex Louis Vuitton, un passaggio obbligato da LVMH e una laurea in Sciences Po Paris. Insomma, tutto il necessario per far saltare il banco. Peccato solo che i risultati veri siano rimasti un miraggio lontano.

Quando si parla di “rilancio” con un tocco glamour, Gucci sembrava pronta a svoltare. Peccato che il primo trimestre del 2025 abbia riservato una gemma da antologia: un calo del 25% nel fatturato delle vendite dirette. Ovvero, la classica sbronza da festa finita male. Il marchio, che avrebbe dovuto incantare il mondo, ha invece mostrato il fianco come un locale di lusso che si ritrova a svendere le cianfrusaglie, mentre tra i top manager si fanno giri di sguardi degni di un film muto.

Nel frattempo, la brillante strategia messa a punto da Jean-François Palus, ex amministratore delegato con una visione da manuale aziendale, si è guadagnata il primato dell’ironia aziendale. Circondarsi di squali fidati del gruppo Kering per evitare “brutte sorprese”, facendo sedere in poltrona il duo Stefano Cantino come vicedirettore generale e Davide Buzzoni alla comunicazione globale, ha prodotto un effetto che nemmeno le serie tv drammatiche riescono a eguagliare: una squadra solida a sbagliare all’unisono. E quando è arrivato il creativo Sabato De Sarno per dare una svegliata all’azienda? Semplice: anche lui ha fatto la figura del naufrago in mezzo alla nebbia. Il risultato? Un brand che pare svanire come un foulard sbiadito, accompagnato da una creatività decisamente in scadenza.

Oggi Gucci guarda le sue vendite cadere come foglie in autunno, con un fascino che si affievolisce più in fretta di una tendenza su Instagram. Dietro alla patina delle sfilate sfavillanti e ai comunicati stampa dal sapore zuccheroso, ciò che rimane è un’affidabilità gestionale degna di un algoritmo in sciopero: pigra, autoreferenziale e tristemente prevedibile.

Il cambio al vertice con Fabry alla direzione commerciale? Altro che colpo da maestro: è stato il primo atto di una tragicommedia dolceamara, con tanto di scenari da farsa tutta italiana (con un cast però un po’ francese, grazie a Kering). Insomma, il lusso ha provato a giocare a Risiko, ma alla fine si è ritrovato solo con un tabellone semivuoto e tante pedine spaiate.

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