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Gucci ci spiega che tenere le cose al sicuro non vuol dire rovinarle per sempre

Gucci ci spiega che tenere le cose al sicuro non vuol dire rovinarle per sempre

Amore eterno e conti che non tornano

Certi custodiscono segreti, altri gelosamente conservano diamanti. Poi c’è Kering, che dovrebbe, teoricamente, custodire Gucci, ma a quanto pare ogni tanto lo lascia incustodito in lavanderia. Un investitore nostalgico ma decisamente informato ci regala una passerella di dati, ricordi e confronti spietati, dove si percepisce un affetto quasi paterno per la maison più irriverente del lusso — insieme a una buona dose di delusione per la sua attuale direzione.

Quando Gucci faceva rima con genio

Facciamo un salto nei magici anni ’90, quando Tom Ford rivoluzionava le regole del gioco, Domenico De Sole ridisegnava i bilanci come un pittore il suo capolavoro, e la Bamboo bag osava sfidare — con una spavalderia tutta italiana — la Hermès Kelly. Prezzi? 950 dollari contro oltre 2000. Non era solo marketing: c’erano idee, coraggio, e soprattutto clienti che materialmente aprivano il portafoglio.

Risultato? Le vendite durante l’epoca Ford triplicarono in appena 4 anni. Non male per un brand che puntava a un pubblico ampio, volubile e traditore — ma che, almeno allora, sapeva bene come farsi desiderare da tutte queste anime erranti.

La matematica della nostalgia (e della strategia mancata)

Il nostro analista allarga gli occhi e ci ricorda qualcosa che le slide PowerPoint puntualmente omettono: i dati vanno interpretati con attenzione. Soprattutto quando si entra nel complicato mondo di retail vs wholesale, valore reale delle vendite, e fatturato per metro quadrato. Ovvero, mica solo “piattaforme omnicanale” e “engagement” da influencer del lusso.

Vediamo i numeri nel 1996:

  • 105 negozi,
  • vendite a 15.000 dollari al metro quadro,
  • quota di mercato: 2%.

Nel 2019, sotto la leadership della brillante coppia Michele + Bizzarri, arriva il picco che tutti aspettavano:

  • 11,8 miliardi di euro di GMV,
  • 487 store,
  • 45.000 euro al metro quadro,
  • quota di mercato: 4%.

Un’impennata niente male, certo. Ma se torniamo indietro tra il 2000 e il 2015, la crescita media si limita a un misero 7% all’anno. Insomma, più “manovre di facciata” che vere magie da maison leggendaria.

Post-Tom Ford e post-Michele: l’era della grande confusione

Dopo l’addio di Tom & Dom, l’ingresso silenzioso di PPR — sì, quell’embrione di Kering — e la presa in pugno di François-Henri Pinault nel 2001, ci siamo trovati di fronte a un rallentamento epocale. Lo chiamavano “post-boom”, ma a vedere bene sembra più un aereo che ha finito il carburante e tenta l’atterraggio di emergenza. I numeri attuali sono ben lontani dall’ispirare sogni dorati, e le scelte più recenti sembrano azzardi disperati di chi non ha più idee, piuttosto che mosse di un narratore di lusso con una vision ben definita.

Morale con stile

Gucci non è semplicemente un marchio: è un’icona alle prese con una crisi d’identità. Chi la guida farebbe bene a ricordarlo, invece di strapazzarla come se fosse un foglio Excel da aggiornare prima della chiusura trimestrale.
E magari, prima di sfornare il prossimo piano strategico, potrebbe farsi un tuffo nostalgico nel 1995 — chissà, forse per ritrovare quella scintilla che un tempo faceva brillare ogni singolo filo di pelle.

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