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Il magico mondo nascosto dei numeri che nessuno vuole spiegarti sulla filiera

Nel 2024 l’industria italiana delle plastiche biodegradabili e compostabili sembra aver deciso di prendersi una meritata pausa, o forse una crisi di identità. Secondo i dati raccolti da uno studio indipendente specializzato nel mercato delle materie plastiche, le aziende attive sono 278, un numero che paradossalmente è in calo rispetto all’anno precedente. Questi operatori coprono tutto il ciclo produttivo, dalla chimica di base alla seconda trasformazione, e impiegano appena 2.913 addetti, con una produzione complessiva che si aggira attorno alle 121.500 tonnellate e un fatturato che si assesta sui 704 milioni di euro.
Ma aspettate, non finisce qui: rispetto al 2023 il settore ha perso il 3,5% delle imprese e il numero dei dipendenti dedicati ai prodotti compostabili è diminuito del 2,2%. In pratica, una specie di ‘pulizia naturale’ che sembra più una fuga. Non che il calo sia raccontato come un dramma, ma i numeri non mentono. Le regioni che ancora sorreggono la filiera sono il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Campania, la Lombardia e l’Umbria, dove la distribuzione degli addetti e delle aziende è ancora abbastanza solida—sempre che si decida di non mollare anche lì.
Il fatturato, si sottolinea, è sceso di ben il 15,4% rispetto al 2023, un crollo da attribuire principalmente alla discesa dei prezzi principalmente delle materie prime e dei prodotti chimici di base, nonché dei semilavorati e manufatti finiti. A dispetto di questo tonfo nei ricavi, i volumi prodotti sono lievemente cresciuti dello 0,5%, segnando un modesto rimbalzo che li avvicina quasi ai livelli delle plastiche tradizionali, quelle tanto bistrattate ma “stabili”.
Se qualcuno sperava in un rilancio facile, si sbaglia di grosso. Il comparto monouso, per ironia della sorte forse il simbolo più evidente di consumo rapido e usa e getta, ha subito un crollo oltre il 10%. Una contraddizione politica e commerciale che non sorprende: schiacciato com’è dalla concorrenza sleale dei prodotti chiamati “pseudo-riutilizzabili” e da un’invasione silenziosa di manufatti compostabili cheap provenienti dall’Asia. Un altro settore in difficoltà sono i sacchetti per la raccolta dell’umido, che confermano la tendenza negativa.
In positiva controtendenza, però, troviamo il film agricolo, il packaging per alimenti e gli ultraleggeri, segmenti che si difendono con maggiore successo in questo contesto incerto. Dopo un decennio di crescita continua, tra il 2012 e il 2022, il settore delle bioplastiche italiano sembra ora ballare sul filo del rasoio, fra una promessa di sostenibilità e la realtà di un mercato strozzato da concorrenza, prezzi e una domanda meno entusiasta del previsto.
European Bioplastics, la capacità produttiva globale di queste meraviglie ecologiche è passata dal 68% al 58% nel 2024. Un crollo del 10% in un solo anno, mica bruscolini.Se pensate che almeno gli investimenti stiano correndo a salvare la baracca, vi sbagliate di grosso. Nel 2018 si prevede che la capacità globale avrebbe dovuto superare i 2,6 milioni di tonnellate entro il 2023. Spoiler: si è fermata a soli 2 milioni, cioè quasi il 25% in meno di quello che ci si aspettava. Gli investitori, evidentemente, guardano altrove.
Il 2025 si presenta come un futuro radioso… o forse no. La produzione italiana di manufatti compostabili rischia di ristagnare nel migliore dei casi, perché la domanda finale si prevede appena in lieve salita, insufficiente a risollevare le sorti del settore. Nel frattempo, resistono come zanzare fastidiose due piaghe: sacchetti illegali, che rappresentano circa il 27% del mercato, e la diffusione di stoviglie “pseudo-riutilizzabili”, un giro di parole elegante per dire che quei prodotti sono un impostore terribile per l’ambiente.
Segnali positivi? Qualcosa si intravede, ma solo nel minuscolo universo degli ultraleggeri (ma non fatene un vanto). Tutte le altre applicazioni—quelle davvero importanti—restano in sofferenza, in una lenta agonia. Per quanto riguarda il PPWR, il tanto decantato regolamento europeo che dovrebbe dare ossigeno al compostabile, si vedranno risultati solo a medio termine, dipendendo da come ogni singolo paese membro deciderà di applicarlo, Italia inclusa.
Le verità scomode dell’industria delle bioplastiche in Italia
Luca Bianconi, il presidente di Assobioplastiche, descrive la situazione con una delicatezza rara: “È un quadro in chiaroscuro quello dipinto dall’ultimo rapporto sull’industria delle bioplastiche in Italia.”
Lui ha sintetizzato così:
“Dopo un decennio di crescita costante, un 2023 negativo e un 2024 con un timido rimbalzo. A frenare questa ripartenza sono stati fattori distorsivi che denunciamo da tempo: in primis, la competizione sleale da parte dei sacchetti illegali così come da parte delle stoviglie ‘pseudo-riutilizzabili’ che hanno evidenti ricadute negative sull’attività produttiva nazionale.”
Per completare il quadro delle sventure, aggiunge:
“In parallelo, l’importazione di shopper e manufatti a basso costo e di dubbia qualità dall’Estremo Oriente rappresenta un dumping insostenibile per le nostre imprese.”
Praticamente, i nostri operatori devono sopportare una lotta impari: da una parte l’illegalità locale, dall’altra la concorrenza sleale globale. E tutto questo mentre il mondo spalanca gli occhi sul “green washing” e gode nell’illusione di un futuro sostenibile fatto di bioplastiche. Nota di colore: un settore votato alla salvezza del pianeta che invece rischia di affondare per colpa di chi non rispetta le regole e delle politiche volte a illuderci più che a cambiare veramente il modello di consumo.