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Inps l’attore indispensabile che il ministero del Lavoro non può più ignorare

“L’Inps protagonista nel rilancio del welfare: tra innovazione e controllo dei fondi pubblici”

Marina Elvira Calderone, ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, ha dipinto l’Inps non come un semplice erogatore di prestazioni, ma come un protagonista insostituibile nelle politiche coordinate dal ministero. Una macchina che, grazie alla sua “tecnostruttura”, sembra capace di navigare agilmente tra le sfide imposte da demografia, tecnologia e mutamenti sociali.

Secondo la ministra, l’Inps non si limita a distribuire assegni e sussidi, ma diventa un ingranaggio attivo in un sistema di attivazione delle comunità, seguendo le linee guida di Via Molise con autonomia. Tradurre in realtà progetti condivisi e alimentare un modello di welfare che non solo protegga ma abiliti le persone a costruire il proprio futuro, individuando spazi di progettualità personale, familiare e comunitaria: ecco il nuovo mantra.

D’altronde, l’orgoglio della ministra è tutto nella “piattaforma tecnologica” introdotta con il Decreto legge 48 del 2023. Una sofisticata infrastruttura digitale che non si limita a gestire le misure di inclusione sociale e lavorativa, come l’assegno di inclusione o il supporto per formazione e lavoro, ma consente addirittura di incrociare domanda e offerta di lavoro. Un passo avanti verso quel welfare moderno e interconnesso che tutti sognano – o almeno tutti dichiarano.

Naturalmente, l’Inps non è solo efficiente nell’erogazione, ma anche un maestro del risparmio: con controlli preventivi è riuscito a evitare ben 4 miliardi di euro in prestazioni “indebite”. Tradotto in parole povere, soldi pubblici che non finiscono nelle tasche sbagliate. Da ventilatore di sussidi, l’istituto si è trasformato in un’entità che ottimizza le risorse per stare più vicino a chi davvero ne ha bisogno, magari in un mondo dove la burocrazia spesso è più ostacolo che aiuto.

La ministra non dimentica di sottolineare l’importanza del “protagonismo dei lavoratori” nella gestione delle aziende pubbliche, visto come la risposta migliore alle esigenze territoriali. Una prassi nuova, che dovrebbe combattere la “desertificazione sociale” – termine altisonante per definire l’abbandono e il disagio locale – e creare un “contesto virtuoso” per il benessere collettivo. Chissà se l’efficacia di questo approccio reggerà alla realtà quotidiana.

Infine, c’è la promessa di dare nuova vita all’articolo 46, con ripercussioni anche sull’articolo 36 riguardante la giusta retribuzione. Niente rigidi comandamenti dirigisti però, ma un modello flessibile capace di cogliere opportunità e minimizzare rischi. Un’utopia pragmaticamente narrata, che suona bene nelle stanze del potere e forse un po’ meno nelle fabbriche o negli uffici dove i contratti e gli stipendi si sentono ben altro che “flessibili”.

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