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Inps tenta il miracolo: insegnare ai giovani l’arte perduta di capire la pensione

Il XXIV Rapporto Annuale dell’Inps dipinge un’Italia in continuo cambiamento, grazie anche alla sorprendente elasticità dell’istituto nel tenersi al passo con i tempi.

Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera dei Deputati, ha commentato così durante la presentazione del rapporto nella sontuosa Sala della Regina a Montecitorio:

“Il welfare generativo, questa magica abilità di educare le nuove generazioni ai sistemi di assistenza, permette all’Inps di porsi come protagonista di un cambiamento che coinvolgerà sempre più i giovani. I segnali sono promettenti, e certo non ci si può fermare qui.”

Naturalmente, la narrazione costruita dipinge un quadro ottimistico, quasi sociale e generazionale, dove l’Inps non è più solo l’apparato burocratico impantanato in scartoffie, ma diventa l’attore chiave di un futuro welfare tutto nuovo, spronato dall’innovazione e dalla gioventù. Ma chissà se davvero è così, o se più che altro si tratti di un eufemismo per nascondere gli ennesimi problemi di un sistema che fatica a rincorrere la rivoluzione dei tempi.

Il rapporto, dice, consegna la fotografia di un’Italia in movimento – una fotografia che forse assomiglia più a un’istantanea sfocata: il paese avrebbe bisogno di ben altro che di slogan. Perché mentre si celebra l’adattamento dell’Inps, la realtà quotidiana resta quella di giovani che faticano a vedere un futuro decente tra disoccupazione e precarietà.

Eppure, secondo Mulè, l’educazione alle nuove forme di welfare e l’idea di un welfare “generativo” sono le chiavi per guidare questa trasformazione. Parole sacre, certo, ma quanto lontane dalla politica reale e dagli strumenti a disposizione?

Resta il fatto che l’Inps continua a presentarsi come il grande motore del cambiamento, ma saremo davvero certi che stia guidando qualche innovazione efficace, e non solo un balletto di cifre e promesse da palazzo?

Insomma, una presentazione ricca di buoni propositi, ma priva di quella concretezza che servirebbe per trasformare davvero il welfare in uno strumento utile a rimettere in sesto un paese che arranca. Ai giovani, poi, toccherebbe «educarsi»: classico esempio di come la responsabilità venga spostata sui cittadini, mentre le istituzioni si pavoneggiano nel loro elegante habitat istituzionale.

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