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Inversione dell’onere fiscale: l’IVA trasferita dal fornitore al cliente

Inversione dell’onere fiscale: l’IVA trasferita dal fornitore al cliente

Fino al 31 dicembre 2026, salvo proroghe, il sistema del reverse charge IVA continuerà a farla da padrone, una vera e propria oppressione burocratica da cui sembrano non poter scappare né contribuenti né aziende. Ma cos’è questo mito del reverse charge, che promette di semplificare ma di fatto intrica ancora di più il già complesso labirinto fiscale? In sintesi, è un’inversione dell’onere di versamento dell’IVA dal venditore al compratore. Il venditore emette una fattura senza IVA, mentre il compratore è costretto a “completare” l’accordo, aggiungendo l’imposta. Davvero? Non trova il lettore un po’ ridicolo tutto ciò?

Un meccanismo che complica anziché semplificare?

Questo meccanismo, a detta di qualche esperto, dovrebbe ridurre l’evasione fiscale, ma a che prezzo? Si tratta di un meccanismo in deroga che si vuole mantenere fino al 2026, segno che il sistema attuale riesce ad auto-alimentarsi nel suo groviglio di eccezioni e regole complicate. Una giustificazione a dir poco superficiale.

Osserviamo l’applicazione pratica: per le operazioni di acquisto dai paesi UE, l’acquirente deve inoltrare i dati attraverso il Sistema di Interscambio. Per fortuna, non è più necessario per quel che riguarda gli acquisti interni; che risparmio di burocrazia, davvero! In entrambi i casi, si naviga in un mare di complicazioni burocratiche e per molti, un vero e proprio incubo contabile!

Un bel modo di intorbidire le acque

Dal punto di vista contabile, il reverse charge non fa altro che spostare il problema: il venditore non applica l’IVA, il compratore la registra, e si troverà a dover annotare tutto per bene nei registri IVA degli acquisti e delle vendite. Per chi ha mai provato a districarsi in questi registri, sa bene che è un percorso ad ostacoli. E chissà se il contribuente finale, spesso ignaro, non si sentirà un po’ preso in giro!

Passiamo all’esempio: un acquisto di 1.000 euro senza IVA sulla fattura del venditore. Da incubo, il compratore deve poi integrare la fattura, calcolare l’aliquota e annotare tutto nei registri, creando un balletto contabile che piuttosto che semplificare complica ulteriormente. Dimentichiamoci il “miglior servizio al cliente” – qui la vera sfida è quella di sopravvivere a questo insensato fardello burocratico.

Dove si applica, e quando? I misteri del fisco

Le regole su quando applicare il reverse charge sono definite nei commi 5 e 6 dell’articolo 17 del decreto IVA. Sorpresa! Questa disposizione fa parte di un provvedimento che si arrampica sugli specchi per coprire le evidenti inefficienze. Se il lettore pensava che questi articoli potessero fornire chiarezza, beh…si può considerare significativamente deluso.

Conclusione: in un panorama in cui il sistema fiscale di molti paesi europei si dimostra più fluido ed efficiente, l’Italia sembra preferire il labirinto burocratico e le eccezioni. Invece di risolvere i problemi di evasione e di semplificazione fiscale, ci si rifugia in meccanismi contorti. Si potrebbe pensare che basti davvero un pizzico di buon senso e qualche riforma vera per semplificare, ma, in fondo, chi ha mai messo in discussione questo vecchio modo di fare? E mentre aspettiamo

una riforma tanto agognata, possiamo ben dire: benvenuti nel “futuro” del reverse charge. Un’altra promessa di semplificazione che finisce nel limbo delle tante parole e pochi fatti.

Un elenco di opportunità per confondere, stupire e, naturalmente, rendere tutto incredibilmente complicato. Parliamo delle cessioni imponibili di oro da investimento e di come si naviga tra le pieghe di normative per capire ciò che è tassabile e ciò che sfugge a ogni logica. C’è chi ci guadagna nel caos, sia chiaro.

Contraddizioni imbattibili

La lista si snoda come un fiume in piena: si va dalle cessioni di materiale d’oro alle prestazioni dei subappaltatori nel settore edile, un vero campo di battaglia per chi desidera semplicemente onorare le norme fiscali senza dover prima ottenere una laurea in diritto tributario. La giostra di prestazioni di servizi non fa altro che complicare la vita a chi vorrebbe solamente costruire o ristrutturare un immobile. E che dire di quelle prestazioni che non si applicano ai soggetti di estrema burocracia, come i contraenti generali? La giustizia fiscale, in questo caso, è una favola.

Un labirinto normativo senza uscita

Ah, e non dimentichiamo i contratti di appalto e subappalto: prestazioni di servizi effettuate in qualunque forma, a patto che il concedente si trovi in uno di quei contesti da far girare la testa. La logica si complica ulteriormente con l’inclusione di prestazioni di servizi per le pubbliche amministrazioni e gli enti che si avvalgono dello split payment; un gran bel modo di fermare i soldi all’uscita ma non certo di mantenere in ordine il bilancio.

Addio chiarezza, benvenuto disordine

Il reverse charge, una sorta di incantesimo per rompere la monotonia tributaria, entra in scena per le operazioni più disparati: dall’installazione di impianti ai servizi di manutenzione, con risultati che sarebbero comici, se non fosse che coinvolgono soldi veri. Ci si aspetterebbe almeno un po’ di trasparenza, ma ecco che il legislatore ci sorprende con un cocktail di regole avvolte in un linguaggio che nemmeno Dante avrebbe osato usare.

Il labirinto fiscale delle illusioni

In un paese dove la burocrazia ha già superato i limiti dell’assurdo, l’installazione di impianti e le relative operazioni di manutenzione sembrano viaggiare in parallelo a una spirale discendente di inefficienza. Qualcuno potrebbe mai immaginare che serve un legame tra un impianto fotovoltaico e la necessità di un canone di abbonamento? Sì, perché anche se il servizio non avviene, l’abbonamento deve sempre essere pagato. Chi l’avrebbe detto che anche la fiscalità potesse assomigliare a un abbonamento mensile per qualcosa di mai utilizzato?

Un futuro a dir poco nebbioso

Le operazioni di installazione, sostituzione e manutenzione si moltiplicano, avvolte in un manto di regole che stridono come un piatto rotto. Di esempi ne abbiamo a bizzeffe, ma pare che, in questo frangente, l’unica cosa che funzioni sia l’immensa capacità di generare confusione.

Siamo forse condannati a questa spirale di follia fiscale? Nonostante siano tante le voci che suggeriscono miglioramenti, alla fine ci si ritrova sempre ad affrontare un sistema che, oltre lo scherzo, pare volerci sembrare professionisti in qualcosa che è puramente surrettizio. Forse un giorno ci sorpresemo a risolvere tutto con un colpo di spugna, ma finora, a guardare le evidenti contraddizioni, non ci resta che attendere, possibilmente con una buona dose di ironia.

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