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Investire è essenziale per la crescita e la sopravvivenza delle imprese, ma chi lo fa davvero?

Ah, l’internazionalizzazione della ricerca. Un concetto così affascinante che sembra praticamente un sogno in technicolor per chiunque abbia mai sognato di ritrovarsi con un laboratorio pieno di soldi e idee brillanti. Come ha dichiarato Fabio Pompei, CEO di Deloitte Italia, in un’apparizione al quanto strategica durante Investopia Europe 2025, l’internazionalizzazione non è più una semplice opzione. No, no, è una *condizione necessaria*! Del resto, chi non vorrebbe dire “Ho una strategia globale e, insomma, sono competitivo”? Gli oltre 65 miliardi di euro investiti da paesi europei in partnership sembrano confermare che, almeno sulla carta, ci stiamo muovendo nella direzione giusta, sempre che ci si ricordi che oltre il 65% di questa montagna di soldi proviene dal settore privato. Pare che non possiamo fare a meno di chi ha davvero i fondi, giusto?

Tuttavia, non prendiamoci troppo sul serio! Pompei insiste che programmi come Horizon Europe siano importanti catalizzatori per l’internazionalizzazione. Ma davvero? Promuovere partenariati strategici e reti d’eccellenza tra paesi membri e oltre confine sembra il piano perfetto per aumentare la massa critica della ricerca. È un ciclo perfetto: prima ti lanciamo in un mare di collaborazioni transfrontaliere, e poi speriamo che quelle scoperte scientifiche si trasformino magicamente in prodotti industriali esportabili. Chi avrebbe mai pensato che la scienza potesse essere così commerciale?

Il nostro amico Pompei ha anche menzionato come le aziende private siano degli hub straordinari, capaci di connettere il sistema italiano con reti globali. Magari dovrebbero mettere il loro nome sui biglietti da visita, visto quanto pesano le loro “conversazioni” tra attori pubblici e privati. È tutto così meravigliosamente sinergico, non è vero? Solo un dettaglio: per far sì che il Sistema Italia possa effettivamente beneficare da tutto questo benessere, c’è bisogno di “condizioni abilitanti”, come una presenza in reti di ricerca europee. E giù con i talenti, perché chi non desidererebbe di lavorare qui?

Ah, e non dimentichiamo la protezione della proprietà intellettuale! Chiaramente necessaria, perché ci mancherebbe che qualcuno tenti di sottrarre la nostra straordinaria innovazione all’estero. Pompei ha proprio ragione: l’internazionalizzazione della ricerca potrebbe effettivamente diventare un moltiplicatore di valore. Se tutto va bene, ovviamente. Altrimenti, possiamo sempre contare sull’immancabile opportunità di ridere di noi stessi mentre cerchiamo di navigare in questo mare tempestoso di innovazioni e trasferimenti tecnologici!

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