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Istat, la crisi demografica? Ecco come inflaziona l’economia!

Istat, la crisi demografica? Ecco come inflaziona l’economia!

L’imperdibile appuntamento annuale con il Rapporto Istat ci regala una quantità di dati che definire “importante” sarebbe un eufemismo. Si tratta di un’analisi approfondita dei movimenti, dei trend e delle tendenze che caratterizzano l’evoluzione del nostro amato Paese. Ma chi stiamo prendendo in giro? È palese che la vera chiave di lettura è quella che lega la demografia all’economia, mettendo in evidenza il teatro dell’assurdo che viviamo. I dati servono, a quanto pare, per capirci meglio, per raccapezzarci su dove stiamo andando, o almeno per fare un tentativo di non perderci del tutto. Naturalmente, tutto ciò ha conseguenze sul tessuto produttivo, sulle imprese e sull’occupazione, ben legate a loro volta all’evoluzione sociale. Ma, a chi importa?

Le famiglie cambiano, e di conseguenza i consumi. Ma chi ha veramente tempo di pensare a questo quando il mondo va a rotoli? I passaggi chiave del rapporto evidenziano la correlazione diretta tra cause demografiche ed effetti economici. E chi avrebbe mai pensato che la popolazione residente è in caduta libera, spinta da una dinamica naturale negativa? Fortunatamente, c’è un saldo migratorio “positivo” che ci solleva dallo squallore della verità. La vita cambia! Le famiglie si rimpiccioliscono: sempre più persone vivono da sole, aumentano le libere unioni, e anche le famiglie monogenitore. E chi ha bisogno di una famiglia numerosa, quando si può avere una cerchia ristretta di… solitudine? Tutto questo naturalmente influisce sulla forza lavoro e sulla capacità di spesa, ma chi lo nota davvero?

L’invecchiamento della popolazione porta con sé una bagarre di conseguenze economiche e sociali: rischi, opportunità e confusione totale. L’aspettativa di vita sale alle stelle, e adesso convive una società in cui più generazioni vivono insieme. Non è fantastico? Le loro esperienze di vita hanno ridisegnato il nostro contesto socio-economico, ma non preoccupiamoci troppo di questo; tanto nessuno sa come affrontare queste sfide. Ammettiamolo, l’invecchiamento è un’opportunità per chi ama le nuove sfide: l’allungamento della vita in buona salute e i stili di vita sani sono una meraviglia — a patto di avere i mezzi per sfruttarli! La salute, d’altronde, non è universale. Certo, gli anni di autonomia aumentano, ma ci sono divari territoriali e socioeconomici così ampi che qualsiasi discorso di equità diventa ridicolo.

Parliamo poi delle imprese e del loro rischio di passaggio generazionale, che è diventato l’argomento di discussione più affascinante per economisti e sociologi. L’invecchiamento della forza lavoro da un lato e il potenziamento del capitale umano dall’altro hanno un impatto “differenziato”, come direbbero in un linguaggio che non fa nulla per chiarire le cose. Le aziende con giovani qualificati prosperano, mentre quelle più piccole si dibattono nel loro misero destino. Tra il 2011 e il 2022, l’incidenza dei lavoratori over 55 è quasi raddoppiata rispetto ai minuscoli under 35. Incredibile, vero? Le imprese in crisi (quelle dove il rapporto di lavoratori over 55 è maggiore di 1,5) sono il 30,2%. Ma, chissà, in quanti se ne preoccupano?

Infine, il capitale giovane risulta essenziale per la digitalizzazione e la crescita. Aumentare la percentuale di giovani addetti al lavoro ha avuto un impatto positivo sul successo delle imprese, ma, attenzione: questo era prima della crisi pandemica. Appena un punto percentuale in più ha migliorato le probabilità di successo, e chissà in quanti se ne sono accorti in questo mare di incertezze! L’occupazione e il fatturato tra il 2018 e il 2022 sono saliti alle stelle, a patto però che crediamo che tutto possa continuare così. Ma non siamo tutti ottimisti?

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