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Istat sputerà cifre da urlo mentre gli italiani implorano tregua ai rincari senza fine

Titel suggerito: Inflazione a giugno 2025: prezzi in aumento e contraddizioni che ci fan sorridere

Ah, l’inflazione a giugno 2025 decide di fare un piccolo, delizioso sgambetto all’economia. L’indice nazionale dei prezzi al consumo, quello al netto dei tabacchi, segna un +0,2% rispetto a maggio e un bel +1,7% rispetto a giugno 2024, alzando la posta rispetto al +1,6% del mese precedente. La crescita dei prezzi nel “carrello della spesa” segue la sua strada zoppicante con un +2,8%, appena sopra il +2,7% passato, mentre l’inflazione di fondo sale ancora timidamente da +1,9% a +2,0%. Sì, perché c’è sempre qualcosa che deve aumentare un pochino di più per tenerci compagnia.

L’aumento si deve in gran parte a un’accelerazione, che vogliamo chiamare “robusta”, dei prezzi dei Beni alimentari non lavorati, che passano da un modesto +3,5% a un più sfrontato +4,2%. Nel frattempo, nel comparto energetico, la flessione dei prezzi si amplifica leggermente (-2,1% contro -2,0%), grazie a una decelerazione quasi “miracolosa” della componente regolamentata, che scende dal 29,3% al 22,6%. Insomma, si viaggia sul filo del rasoio tra aumenti e diminuzioni, ma il risultato è sempre, ehm, incerto.

La dinamica tendenziale degli indici riflette tutto questo splendore: i Beni alimentari non lavorati accelerano da +3,5% a +4,2%, i servizi legati ai trasporti si concedono un piccolo sprint da +2,6% a +2,9%, e i Beni durevoli vedono una flessione che si attenua un po’ (-1,1% a -0,8%). Per contro, i Beni energetici regolamentati rallentano la loro corsa da +29,3% a +22,6%. Ma non finisce qui: l’“inflazione di fondo”, quella che toglie energia e alimentari freschi dal conto, ci regala un aumento da +1,9% a +2,0%. Al netto invece dei soli beni energetici si mantiene ferma a +2,1%, così non si scontenta nessuno.

L’incremento tendenziale dei prezzi dei beni cresce un po’, passando da +0,8% a +0,9%, con i servizi che fanno altrettanto e si spingono da +2,6% a +2,7%. Il differenziale inflazionistico tra servizi e beni, che ci fa penare da mesi, resta invariato a +1,8 punti percentuali. Ma ecco il colpo di scena: i prezzi dei Beni alimentari, della cura della casa e della persona sfiorano un aumento di un decimale, da +2,7% a +2,8%, mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto subiscono un balzo molto più vistoso, dallo 1,5% al 2,0%. Innovazione o superstizione?

Se guardiamo l’aumento congiunturale dell’indice generale, la lista dei responsabili è ricca: servizi relativi ai trasporti (+1,1%), attività ricreative, culturali e per la cura della persona (+0,9%), Beni alimentari lavorati (+0,3%) e servizi legati all’abitazione (+0,3%). Nel frattempo, come per bilanciare i conti, diminuiscono i prezzi dei Beni energetici regolamentati (-3,0%), i non regolamentati (-0,7%) e persino quelli dei Beni alimentari non lavorati (-0,4%). Una danza elegante di incrementi e decrementi per tenere tutti sull’attenti.

L’inflazione “acquisita” per il 2025 – cioè quella che abbiamo già messa in conto – si attesta al +1,4% per l’indice generale e al +1,8% per la componente di fondo, quella che si ostina a non volerci lasciare tranquilli. Nel settore delle famiglie di operai e impiegati, da sempre il termometro più vivo dell’economia reale, l’indice dei prezzi al consumo, sempre al netto dei tabacchi, segna un più timido +0,1% su maggio e un +1,5% rispetto a giugno 2024.

Infine, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) – quella misura che “ci inchioda” al confronto europeo – segna un +0,2% rispetto a maggio e un +1,8% sullo stesso mese dell’anno scorso, migliorando leggermente il +1,7% di maggio. E la stima preliminare? Beh, lasciamo pure che vacilli un po’, è più divertente così.

Un bel +1,7%, roba da far ridere di gusto chi sperava in qualche tregua. Nel secondo trimestre del 2025, l’IPCA ci regala il solito show: i prezzi al consumo colpiscono duramente chi ha meno soldi da spendere (+2,0%), mentre i ricconi con portafogli più gonfi possono consolarsi con un più contenuto +1,8%. Che generosità!

La mazzata estiva sulle vacanze degli italiani

La conferma arriva drammaticamente dall’Istat: prepararci per le vacanze estive sarà una festa per il portafoglio, ovviamente in stile “tanto peggio tanto meglio”. In giugno, i prezzi al dettaglio segnano un aumento medio annuo del +1,7%, che tradotto significa una mazzata annua di +559 euro per la famigliola modello e addirittura +761 per quella con due figli. Viaggi, divertimenti e svaghi? Sì, ma a carissimo prezzo.

I protagonisti del turismo non deludono: voli nazionali schizzano in alto del +38,7%, traghetti +19,6%, centri ricreativi e sportivi +7,7%, e la festa continua con pacchetti vacanza nazionali cresciuti dell’8,7%. Gli alberghi giocano a rincari soft con +2,9%, i villaggi vacanza tengono duro con +3,6%, mentre case vacanza, b&b e simili si fanno notare con un +5,9%. Non mancano i musei e monumenti (+4%), ristoranti (+3%), bar e gelaterie (entrambe +3,8%). Insomma, spendere per rilassarsi ora richiede un conto assai più salato. Se c’è da derubare le famiglie italiane lo si fa con stile e sistematicità.

Tutto ciò fa sorgere una semplice domanda: che senso ha tutto questo? Aumenti così pronunciati non sembrano giustificati da nulla se non dalla voglia di spremere chiunque provi a staccare la spina almeno per qualche giorno. Una vera stangata, certificata dall’Istat, per un’estate che promette poche rinunce… o forse poche partenze.

Il carrello della spesa: più caro che mai

Come se il turismo non bastasse, i prezzi dei generi alimentari fanno la loro parte nel dramma inflazionistico, trascinando il conto finale sempre più verso l’alto. Nel giugno del 2025, cibo e bevande analcoliche mostrano un’impennata del +3,5% su base annua, traducibile in altri +320 euro da sborsare per una famiglia con due figli. Perché mangiare dovrebbe essere un lusso, no?

Gabriele Melluso spiega:

“I prezzi degli alimentari non danno tregua e crescono anche per i prodotti non lavorati, con un significativo +4,2% su anno. Prendete il burro, per esempio: +19,7%, il caffè sfiora il +24,8%, il cioccolato si accontenta di un +12,9%, mentre il cacao decolla del 21,3%. A giugno si sono messi in pari anche formaggi e latticini (+6,3%), uova (+7,2%), frutta fresca con agrumi-record (+15,8%), pesche e nettarine (+13,5%), e persino i gelati (+4,6%).”

Naturalmente, tutta questa escalation non è che l’effetto collaterale dell’aumento della domanda durante l’estate, quella stagione magica dove però i portafogli degli italiani piangono lacrime amare. Melluso, con rara delicatezza, implora il governo di guardare con più attenzione il prezzo del cibo, come se finora fosse stato un dettaglio insignificante.

Le spese obbligate: la ciliegina sulla torta amara

Massimiliano Dona, non certo un fan delle banalità, dichiara l’ovvio commentando i numeri Istat:

“Dati pessimi! A inquietare è il continuo aumento delle spese obbligate, in particolare alimentari e bevande analcoliche, che non mostrano alcun cenno di flessione. Il carrello della spesa passa da un indice 2,7 a maggio a 2,8 a giugno, mentre i generi alimentari volano da 3,2 a 3,5.”

In altre parole, non serve un genio per capire che piccoli rincari mensili su beni imprescindibili fanno l’effetto di una valanga sul bilancio familiare. Per una coppia con due figli, l’inflazione al 1,7% si traduce in 630 euro in più all’anno, di cui 337 se ne vanno solo per il carrello della spesa. Stangata vera e propria, non c’è che dire.

Con un figlio il danno minimo si aggira attorno ai 569 euro l’anno, suddivisi tra alimenti, cura della casa e della persona. Una media per famiglia di 453 euro in più, di cui 221 solo per mangiare e bere. Roba da far passare l’appetito a chiunque.

Insomma, mentre i politicanti si struggono per il PIL e le statistiche, le famiglie italiane affogano sotto rincari che sembrano più una forma di tortura economica che un fenomeno di mercato. Prepariamoci a un’estate calda, non tanto per il sole, ma per il fuoco delle bollette e dei prezzi.

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