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Italiane dure a morire? Come hanno strappato il successo sfidando ogni crisi senza batter ciglio

Incredibile ma vero: la prima sorpresa per molti osservatori internazionali è stata scoprire che le imprese italiane fanno leva su una qualità oggi quasi mitologica, la resilienza. Sì, quelle stesse imprese che molti davano per spacciate stanno invece mostrando una capacità superiore di non perdere la speranza, nonostante la tormenta globale. Queste imprese sono riuscite a reagire meglio di altre alla crisi internazionale in atto, come sottolineato senza troppi giri di parole dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante un evento al Meeting di Rimini.
Non si tratta però solo di resistere, ma anche di dimostrare quella che Urso definisce la vera cifra del nostro Paese: la creatività. Che, naturalmente, si manifesta al meglio proprio nei momenti più critici. Insomma, secondo il ministro, l’Italia non è solo un ammasso di vecchie tradizioni da preservare, ma un’entità che sa innovare con continuità e sorprendenti slanci di ingegno.
Se dovessimo stilare una lista dei tratti distintivi delle aziende italiane a oggi, ecco cosa ci troveremmo davanti: resilienza, creatività, identità e innovazione. Ovvero, l’arte di non perdere mai la speranza, anche quando sembra che tutto stia crollando.
Passando dalla teoria alla pratica, il ministro Urso ha voluto sottolineare un dato che suona quasi da miracolo in un’epoca di crisi e tagli: negli ultimi tre anni, tutte le crisi aziendali gestite dal ministero si sono risolte senza licenziamenti. Niente licenziamenti collettivi, ma accordi raggiunti dopo dure trattative – a volte anche con scioperi – ma sempre con la firma dei lavoratori, e che hanno permesso di salvare situazioni imprenditoriali critiche da cui in altri Paesi si sarebbe usciti solo con epurazioni di massa.
Urso è categorico: “I licenziamenti collettivi non esistono più nel vocabolario di questo Paese”. Una frase che suona come una sfida, o una dichiarazione d’intenti che sembra voler rimodellare completamente l’approccio alle crisi aziendali nel nostro tessuto produttivo. La strategia, insomma, non è più “elimina e risparmia” ma “patti sociali”: un’intesa tra imprese e lavoratori che funge da base per una nuova stagione industriale.
Perché, spiega il ministro, è proprio questo patto sociale che dovrà caratterizzare la seconda parte della legislatura. Dopo aver garantito nei primi tre anni coesione, unità d’intenti e risultati che non sono passati inosservati, ora il terreno di gioco cambia leggermente e si punta tutto su un dialogo costruttivo e inclusivo tra attori economici e forza lavoro.
Se questa è la ricetta per navigare nelle acque agitate della crisi internazionale, allora possiamo dormire sonni relativamente tranquilli. Perché in fondo in Italia, dice Urso, la crisi si affronta con la testa dura, la creatività e un’umana dose di speranza incrollabile. Un “miracolo italiano” che vale la pena seguire, o almeno da prendere in considerazione prima di buttare la spugna.