Collegati con noi:

Notizie

La geniale strategia di Giuliano Noci che ci tiene aggrappati al podio peggio di un fan ossessionato

La geniale strategia di Giuliano Noci che ci tiene aggrappati al podio peggio di un fan ossessionato
Disordine globale e nuove regole: come il mondo sta cambiando senza bussola

Nell’infinito intrico di caos e contraddizioni che caratterizza il mondo di oggi, il libro “Disordine. Le nuove coordinate del mondo” di Giuliano Noci si propone come bussola, o almeno ci prova, indicando delle rotte tra tempeste geopolitiche e tsunami economici. Con la prefazione di Ferruccio de Bortoli e dialoghi con personaggi del calibro di Amalia Ercoli-Finzi, Marco Bentivogli e la promettente Paramjit Kaur, il volume non si limita a un freddo ritratto del caos ma tenta audacemente di tracciare strategie per governare – più o meno – questa instabilità divenuta norma.

Dietro la penna, troviamo Giuliano Noci, ordinario di ingegneria e prorettore del Polo Territoriale cinese del Politecnico di Milano, che, grazie a un bagaglio di esperienze multimondiali toccando Cina, Russia e India, sfoggia una cosiddetta “visione sistemica” della realtà. Tradotto: un mette-ordine nel caos, capace di trasformare l’incomprensibile in variabili un po’ meno misteriose. Le sue ambizioni sono nobilissime: far capire a noi comuni mortali quel groviglio di eventi che solitamente fanno venire mal di testa anche agli esperti più navigati.

Partendo da un’amara constatazione, il libro ci ricorda come l’illusione di una pace eterna e di un ordine globale post-1989 sia una favoletta da bimbi cresciuti male. Ecco allora definito il panorama attuale: un “sisma globale” dominato da complessità, velocità e incertezza – una triade perfetta per far vacillare ogni certezza. Il sogno di un mondo senza confini e pacificato ha trovato la sua tomba sotto il peso di guerre, crisi finanziarie con la tempesta del 2008, pandemie come il Covid-19, nuove potenze che avanzano a passo deciso (sì, parliamo di Cina e Russia) e un rinato amore per il protezionismo – ormai di moda, almeno per qualche testa calda a Washington.

Noci non perde l’occasione per sottolineare come il mondo si stia frantumando in numerosi poli. Gli Stati Uniti, da baluardo indiscusso di libertà e democrazia, sembrano ora più impegnati a coltivare il cinismo politico e a fare del nazionalismo economico il loro sport preferito, con tanto di tifoseria unanime per il trumpismo e le politiche protezioniste di Biden. Il risultato? Una sorta di “caos controllato” dove a regnare è più la forza bruta che il diritto internazionale. A questo punto, la famosa teoria di Samuel P. Huntington sullo “scontro delle civiltà” appare meno un’ipotesi e più una cartina al tornasole del disfacimento globale. Mentre i BRICS – con Cina, Russia, India e compagnia – spingono per rovesciare l’egemonia occidentale, inventandosi addirittura sistemi finanziari alternativi per sfuggire al dominio del dollaro, il mondo sembra una gigantesca scacchiera dove ogni pedina gioca per sé.

Giuliano Noci non risparmia nemmeno l’analisi delle trasformazioni economiche che stanno ribaltando gli equilibri globali. Mentre Cina e India scalano le vette del potere economico a ritmi vertiginosi, il Sud del mondo emerge finalmente da un lungo letargo impresso dalla storia coloniale e dalle politiche globali. E qui arriva la chicca: la globalizzazione, quel fenomeno miracoloso che ha tirato fuori dalla povertà miliardi di persone, ha però anche intensificato le disuguaglianze. Mentre l’1% più ricco continua a tingersi le mani di oro, il resto del pianeta si barcamena tra speranze e crisi che sembrano più un déjà-vu infinito.

Che sorpresa, ancora una volta assistiamo al grande spettacolo della sproporzione universale. Noci non perde occasione per bacchettare il “commercio senza regole”, quella fangosa “finanza selvaggia” e l’intramontabile “bolla monetaria globale”, perché ovviamente, senza di loro, tutto sarebbe perfettamente equilibrato.

Ovviamente, tra le altre crisi della nostra epoca dorata, spicca la crisi climatica, elevata a “il più grande acceleratore di instabilità geopolitica”. Nel frattempo, mentre l’Africa diventa il ring di una guerra economica per le sue materie prime critiche come litio, cobalto e terre rare, l’Occidente si sveglia bruscamente scoprendo una fastidiosa dipendenza dalla Cina per le tecnologie chiave. Parole di conforto per tutti!

Intanto, la fantastica favola demografica ci racconta che l’Occidente si spegne tra crisi natalità e invecchiamento, mentre Africa e Asia si lanciano in una corsa a ritmo vertiginoso, quasi come fosse una gara senza antidoping. Noci ci esorta a inventarci politiche migratorie “intelligenti” e incentivi alla natalità, ricordandoci con dolcezza che l’immigrazione, una volta gestita con un minimo di cervello, diviene improvvisamente una risorsa economica e non un problema da spot elettorale. Che progresso.

L’intelligenza artificiale: la nuova pozione magica (o il nuovo schiavo digitale)

Eccoci all’apoteosi tecnologica: l’intelligenza artificiale (AI), il famigerato “nuovo totem filosofale”, che promette di trasformare il mondo rendendo la conoscenza “liberamente disponibile come l’acqua”. Peccato che, tra un’utopia e l’altra, qualcuno pensi ancora ai rischi concreti di disoccupazione e di svalutazione delle competenze umane. Ma vuoi mettere la comodità di bere alla fonte digitale?

Giuliano Noci ha tenuto a precisare, con fermezza che neanche un maestro zen in meditazione avrebbe potuto meglio formulare: l’intelligenza artificiale non è affatto “intelligente” come noi poveri umani, ma è soltanto uno “strumento” e, attenzione, uno “schiavo a nostra disposizione”.

La sua utilità suprema? Risolvere problemi in modo fulmineo e liberare l’uomo da quei mestieri “brutali, ripetitivi e faticosi”. Così possiamo finalmente usare il cervello per cose più importanti, tipo discutere di quanto l’AI potrebbe toglierci il lavoro. Ironia della sorte.

Non mancano le preoccupazioni, naturalmente: poiché l’AI si basa su database e algoritmi creati dagli esseri umani, rischia di trasferire e amplificare i nostri stessi pregiudizi. Ah, la dolce governance morale, quel sogno irraggiungibile che ci tocca ogni volta che premiamo “avanti”.

Sul mercato del lavoro, Noci è piuttosto ottimista (o forse ingenuo?): alcuni compiti codificati spariranno, ma nasceranno nuovi lavori in una mirabolante “riorganizzazione del lavoro”. L’AI è pronta a diventare la bacchetta magica della pubblica amministrazione, dove il personale scarseggia, e favorirà un “reshoring naturale”, cioè riportare le attività da est a casa, dato che i robot digitali non hanno problemi di visto o sindacati.

Un dettaglio da non sottovalutare: il nuovo discrimine sociale non sarà più il denaro, ma la conoscenza. Sfortunatamente, per quanto l’Europa vanti un sistema educativo pubblico più serio di quello americano, rischia di arrancare per colpa di una “cultura poco incline alla transizione digitale”.

Quando si fa l’esempio del coding insegnato già dalla scuola primaria italiana, Noci fa una smorfia sorniona: il coding di base sarà presto automatizzato dall’AI. La vera sfida sarà educare a una “conoscenza profonda”, alla capacità di interpretare il mondo e formulare domande, non a impilare nozioni che l’IA scodellerà già con un click.

Ah, la vera rivoluzione sarà valorizzare le scienze umanistiche, dimenticate da molti, perché solo nella loro complessità si troverà la chiave per individuare problemi, creare modelli e assumersi responsabilità — quelle maledette funzioni che la AI proprio non sa replicare.

Democrazia in decomposizione e tassonomie industriali ridicolmente obsolete

Ovvio che la democrazia occidentale sia sotto attacco, soprattutto perché noi ce la raccontiamo come l’unica ricetta universale da imporre ovunque, senza nemmeno un pizzico di rispetto per differenze culturali o sociali. Nulla come l’arroganza occidentale per scoprire che la sua democrazia è cocciutamente fragile, tra populismi e tentazioni autoritarie.

Noci sintetizza il dibattito moderno: una scelta caotica tra la “inefficienza” della democrazia e la presunta “efficienza” dell’autoritarismo. Sfortunatamente, ricorda lui, quell’efficienza autoritaria è una chimera a lungo termine, un miraggio destinato a svanire appena si fa male al primo scoglio.

Nel frattempo, il tragico mondo delle imprese fatica a riconoscere il crollo di vecchie tassonomie industriali, quelle vecchie griglie ridicole che separavano a forza la manifattura dalle Big Tech, o B2B da B2C.

Con l’Internet delle Cose (IoT), il 5G e l’intelligenza artificiale, ogni prodotto diventa un miniera di dati e ogni produttore tradizionale si trasforma a sua insaputa in una potenziale Big Tech. Unica certezza: la confusione regna sovrana, ma l’apparenza di innovazione rimane intatta.

Le sei dicotomie e la via della sintesi, ovvero fare finta di risolvere tutto

Noci – che ovviamente non poteva farsi mancare l’ardire di tentare la quadratura del cerchio – ci propone di superare niente meno che sei dicotomie fondamentali, come se fossero i capitoli di un manuale di sopravvivenza 2.0. Ecco la ricetta miracolosa:

• Globalizzazione vs. Sovranismo: secondo il copione, il futuro è un equilibrio che “integra” dinamiche globali con valori locali. Peccato che il sistema che valorizzi entrambi sia più un’utopia da premio Nobel piuttosto che una strategia concreta.

• Intelligenza Umana vs. Intelligenza Artificiale: la temutissima AI, vi dice, non è un mostro che ci sostituisce ma “solo” un’estensione dell’intelligenza umana, in un tenero abbraccio chiamato co-intelligenza, che dovrebbe creare una simbiosi mistica tra cervelli umani e chip digitali. Come se fosse così semplice.

• Giovani vs. Vecchi: ah, l’intramontabile nostalgico scontro generazionale! L’esperienza degli anziani sarebbe un tesoro da riscoprire, mentre i giovani – quegli sventurati vittime della “mancanza di fiducia” e di un paternalismo strisciante – dovrebbero essere liberati per innovare. Peccato che il “dialogo intergenerazionale efficace” sembri più un invito alla buona volontà che una realtà tangibile.

• Manifattura vs. Big Tech: le tecnologie digitali devono servire a rafforzare la manifattura e non a sostituirla. Solidissimo, peccato che il mercato si prenda sempre ciò che conviene, indipendentemente dalle belle parole.

• Autocrazia vs. Democrazia: democrazie, fate i bravi! Dimostrate flessibilità e resilienza ma senza cadere nella trappola di retoriche inutili contro l’autocrazia. Semplice, no? Come insegnare a un gatto ad andare a caccia senza graffiare.

• Austerità vs. Debito: infine, il superclassico. Lo sviluppo è una bilancia tra stabilità e crescita, e il debito non è un peccato, ma una scommessa sul futuro – purché intelligente e ben orientata. Insomma, il debito non è più il diavolo, ma nemmeno il salvatore. Guarda un po’.

Le priorità italiane: il solito vecchio refrain

Se davvero l’Italia volesse salvare il posto nella tavola imbandita del G7, dovrebbe anzitutto cominciare a fare scelte “coraggiose” – parola di moda preferita dagli incapaci di ogni epoca. Quali? Prima di tutto, gettare un po’ meno pasta nelle pensioni – notate la delicatezza – e invece buttare soldi nel sistema educativo. Eh sì, magari riorganizzare quegli impenetrabili enti locali, talmente frammentati da riuscire a scoraggiare qualunque interesse territoriale. Suggerimento gourmet per la politica industriale ? Costruire “grandi infrastrutture per l’intelligenza artificiale” applicata al Made in Italy che, tanto per cambiare, deve contaminarsi con l’AI, imparando magari dagli scivoloni tedeschi dell’automotive. («Peccato che l’Italia investa pochissimo in AI rispetto agli Stati Uniti», aggiunge la voce lamentosa di Noci).

Ultimo ma non meno spettacolare, il ruolo eterno del Ponzio Pilato: contrastare l’evasione fiscale. Come se gli evasori fossero il vero problema e non un sistema economico viziato e inadeguato a cambiare registro. Ma si sa, meglio prendersela con chi paga.

Il concetto miracoloso, che può scatenare applausi contenuti nelle sale più snob, si chiama “Grande Componenda”: un accordo – sì, tacito ma efficacissimo tra le grandi potenze (leggasi Usa, Cina, Russia) – per regolare lo sviluppo tecnologico (leggasi AI) e schivare una guerra globale senza vincitori. Un compromesso detto pragmatico per non sprofondare nel baratro, che però poco ha di stabile se non il malcelato timore condiviso.

Ottimismo pragmatico o come vendere caos a prezzi d’oro

Nonostante il quadro che si dipinge potrebbe far pensare a un romanzo distopico, Noci chiude con un messaggio di ottimismo pragmatico: niente panico, il caos è un tesoro di “opportunità” e “nuove vie del progresso”, basta che accettiamo l’incertezza come un amico fastidioso e impariamo a sfruttare questa specie di “antifragilità” perché – attenzione – la storia dimostra che l’umanità ha sempre trovato il modo di scrollarsi di dosso pure le peggiori figuracce.

Aspettatevi dunque non un futuro a luci folgoranti o film comodamente prevedibili, ma un “caos ordinato”. Per l’Italia, in particolare, sparite dall’inutile ruolo di “provincia dell’impero” e fatevi avanti, magari sfruttando la posizione strategica nel Mediterraneo e sulle nuove rotte artiche (perché no, le rotte artiche sono un classico). In questo gioco, la produttività sarà la vostra carta vincente e l’AI, se non usata come un bastone tra le ruote, potrebbe salvare la baracca. Ma attenzione: servirà più adattarsi e cambiare che farsi lanciare la solita vecchia pizza fatta di nostalgie e crisi infinita.

Riassumendo: “comprendere e cambiare” è il mantra. Le nuove generazioni, si spera, avranno più fortuna di chi le ha precedute, e avranno finalmente campo libero, senza la zavorra delle “incrostazioni del passato”. Magari.

Continue Reading

Le foto presenti su Lasconfitta.com sono state in larga parte prese da Internet, e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo alla redazione - indirizzo e-mail redazione@lasconfitta.com , che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate.