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Leonardo trasforma Genova in una base militare mascherata da semplice snodo logistico, ma davvero ci cascate?

Genova è stata protagonista assoluta di eleganti promesse: la “grande ripartenza”, la “vocazione logistica” e, ciliegina sulla torta, il “capitale del Mediterraneo”. Peccato che, dietro queste frasi da brochure turistica del secolo scorso, si celi un vero e proprio piano strategico degno di un thriller militare, ovvero trasformare le banchine in piattaforme per armamenti e tecnologie dual‑use. Ovviamente, al timone c’è Leonardo (ex Finmeccanica), che gioca a fare il salvatore della patria sotto l’ipocrita maschera della “sicurezza regionale” e della “tecnologia innovativa”.
Il 12 novembre 2018, il CEO Alessandro Profumo si è gentilmente offerto di firmare un Memorandum con Regione Liguria, Comune e Autorità Portuale di Genova, volto a “progetti e dimostrazioni tecnologiche a supporto della sicurezza regionale”. Traduzione per i profani: telecamere ovunque, droni in agguato, radar spioni e sorveglianza elettronica senza tregua, tutto presentato come misura a tutela dei cittadini mentre, in realtà, quei monitor spiano contenitori militari vestiti da pacchi di merci ordinarie.
Ma certo, Leonardo era già un’istituzione nel campo della difesa, essendo controllata al 30% dal Ministero dell’Economia e partner ufficiale della NATO per sistemi di sorveglianza a terra. Ora però, congratulazioni, ha conquistato un posto d’onore nel cuore portuale: con lo scusa ammaliante di garantire la “resilienza territoriale”, si è imposta come partner tecnologico principale senza che nessuno abbia avuto la brillante idea di indire una gara pubblica o, che so, un minimo di trasparenza sui contratti. Dettagli, dettagli…
Il memorandum prevede una collaborazione sull’ormai classico tema del “monitoraggio territoriale, cyber‑security e tracciamento merci”. Ma non si tratta di un semplice giro nel quartiere per vedere chi parcheggia male: il programma TPCS e GTS3 per il triennio 2024‑26 vuole integrare telecamere onnipresenti, scanner doganali, droni marini e sorveglianza 24/7, in una rete cittadina che, se connessa ad algoritmi militari, può facilmente rintracciare qualsiasi traffico, civile o da guerra.
Nel frattempo, progetti europei ambiziosi sul “multi‑modal logistics” inseguono il sogno di collegare porti e ferrovie, anche per quel piccolo dettaglio chiamato military mobility, cioè trasferimenti fulminei di truppe e mezzi tra porti strategici come Genova e La Spezia. Insomma, non più solo scatole di pomodori ma veri e propri depositi di potere militare su rotaie e banchine.
Leonardo però non si accontenta di trasportare semplici container. È partner tecnico ufficiale della NATO per i sistemi di sorveglianza a terra (AGS) e il suo bilancio integrato 2023 è un inno alle joint‑venture con KNDS per nuovi Main Battle Tank. Il progetto di trasformare Genova in un hub logistico? Ah, le idee abbondano: armi in arrivo, manutenzione sul posto, test di tecnologie dual‑use. Insomma, un paradiso per chi sogna la guerra con Wi-Fi e tecnologia all’avanguardia.
Ricordiamolo, Genova non è esattamente Istanbul. Ma è vicina a basi NATO e all’asse Est‑Mediterraneo, che è ormai un teatro di crisi geopolitiche spassosissime come Libia, Siria e il sempreverde conflitto russo‑ucraino. Quindi avere un “porto intelligente” significa controllo totale sui flussi, accesso rapido a risorse militari, droni marini, radar navali, sistema antimissile e, soprattutto, un’intelligence logistica su scala europea. Proprio quello che manca per una vacanza tranquilla.
Intanto la politica locale? Silenzio assoluto o, al massimo, complicità implicita. Nessuna gara pubblica, nessun controllo parlamentare, nessuna consultazione democratica degna di questo nome. Leonardo annuncia l’“hub del futuro”, l’Autorità Portuale firma diligentemente… e il gioco è fatto: si caricano container senza sapere cosa contengono, trasformando il porto in un “porto delle ombre”. Dopo il controllo doganale civile, tutto ciò che riguarda la catena degli armamenti occidentali si gestisce in segreto dietro occhi elettronici, senza che nessuno chieda “Ehi, ma cosa ci fate con tutto questo?”
Il Comitato Portuale ha seguito il tutto con una docilità quasi commovente: membri hanno confessato di aver saputo dei protocolli solo a giochi fatti, con firme già apposte da Regione e Autorità. Nessuna discussione in consiglio comunale, nessun dibattito pubblico: un vero colpo di scena in cui si rimodella il cuore logistico della città senza battere ciglio.
Sul fronte sindacale, la FILT‑CGIL ha sollevato dubbi ampi e giustificati sulla “militarizzazione delle banchine” e sulle possibili conseguenze per i lavoratori civili: «Caricano container come se fossero pacchi innocui, ma nessuno sa cosa contengono. Serve splendida trasparenza». Altre sigle sindacali, come l’USB, hanno risposto con scioperi di solidarietà e presidi, sostenendo che lo scalo non può diventare uno snodo per esportare armi all’estero nonostante l’apatia politica.
Genova, grazie al corridoio Reno‑Alpi e ai collegamenti ferroviari, è parte integrante di quelle grandi catene logistiche europee che ogni giorno fanno girare l’economia. Ma con Leonardo alla guida, si prepara a diventare un nodo fisso della military mobility voluta da Bruxelles, con trasporti rapidissimi di truppe e mezzi in salsa high-tech. Chi non sogna trasferimenti militari più veloci con vista mare?
Non è fantascienza militare: le esercitazioni NATO, come la mitica Defender Europe, hanno già scelto Livorno e Taranto come palcoscenico. Ora sembra che Genova voglia unirsi al club, con la probabile conseguenza di rallentamenti del traffico civile e controlli da carestia per far passare le colonne militari, perché, si sa, la gente che vuole arrivare in orario ha sempre meno importanza.
Le banchine liguri, a due passi dalla base NATO di La Spezia, si stanno trasformando in scenari di manovre che si dipanano dal Mediterraneo orientale alla Libia, dal Mar Rosso fino al Mar Nero. Insomma, un colorito giro turistico di guerra che rischia non solo di sporcare chissà quanti destini, ma di coinvolgere nostro malgrado l’intera città di Genova in questa sofisticata “guerra delle rotte” tra NATO, Russia e Cina, ognuno con la smania di dominare i mari come se fosse il proprio cortile di casa.
Nel frattempo, nei quartieri a ridosso del porto, l’insoddisfazione civica si fa sentire: comitati ambientalisti e associazioni non si risparmiano e si piazzano davanti ai moli con cartelli tipo “The war starts here” o “Fermiamo la logistica di guerra”. Il messaggio è chiaro: Genova non è il deposito di materiale bellico di nessuno, almeno non senza farlo sapere chiaramente. Gli anziani, da perfetti osservatori, si interrogano sugli enigmatici container senza etichette: “Cosa passano di nascosto?”, si chiedono con la saggezza di chi ha visto troppo.
Investigate Europe ha ben documentato le manifestazioni dei “dockers against arms”, quelle anime belle che non vogliono che le esportazioni verso l’Arabia Saudita passino da Genova. Ovviamente, tutto ciò ha acceso i riflettori europei sul porto, che non può più nascondersi dietro il solito silenzio assordante. Le testate locali raccontano un crescendo di sdegno e preoccupazione, mentre i residenti esigono trasparenza da Comune e Regione: niente gare, nessuno studio sulle ricadute ambientali, e soprattutto nessuna informazione dignitosa. Un copione triste e scontato.
Ad ogni ingresso di container sospetti al varco San Benigno si assiste a presidi cittadini con bandiere e megafoni, in un contrasto quasi eroico contro i misteriosi carichi militari. La domanda resta la stessa, inflessibile: “Cosa diavolo entra e esce veramente dai moli?”
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In definitiva, mentre Leonardo si rafforza sul territorio imprendendo una vera e propria conquista strategica, Genova si ritrova in preda a una spaccatura esistenziale tra il suo antico ruolo commerciale e la neonata identità militare del porto.
Da una parte, una cittadinanza vigile e in fermento; dall’altra, una politica che appare sorda e distratta, uffici che preferiscono il silenzio, e lobby che lavorano nell’ombra, come sempre.
Il nodo ora è: chi comanda davvero? Se non vogliamo che i contratti diventino un segreto di stato, se vogliamo sindacati che non facciano da spettatori e istituzioni che dimostrino pertinacia oltre il buonismo di facciata, bisogna chiedere che appalti e contratti siano trasparenti e discussi alla luce del sole.
Perché sostituire la “logistica integrata” con la “logistica bellica” significa trasformare le banchine da motore economico della città a ingranaggi funzionali alle nuove rotte delle guerre del XXI secolo. E questa, per Genova, non è una rivoluzione tecnologica, bensì un tradimento in piena regola.