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L’Oréal e Unesco si accapigliano fingendo di salvare il mondo, noi restiamo a guardare

L’Oréal e Unesco si alleano per celebrare il talento femminile nella scienza italiana

Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca, non ha perso occasione per sottolineare quanto sia “meraviglioso” vedere una multinazionale come L’Oréal e un’organizzazione internazionale come l’Unesco unirsi non solo per mettere in mostra i loro asset tramite la ricerca, ma addirittura per “fare il bene dell’umanità”. Certo, perché niente dice “salvare il mondo” come un accordo tra grosse aziende e istituzioni autoreferenziali.

Il ministro si è detto “profondamente ottimista” al cospetto delle giovani ricercatrici premiate, tutte tra i 30 e i 35 anni, la cui carriera sarebbe la prova vivente della bontà del sistema italiano di alta formazione e specializzazione, che, guarda un po’, riesce persino a fargli fare esperienza all’estero senza farle scappare del tutto. Bernini insiste sul fatto che il nostro compito è offrire motivi validi a queste “rondini” per tornare e scegliere l’Italia come terra fertile di ricerca. Un’impresa degna di una fiaba: basta creare super infrastrutture “innovative, disruptive” e la scienza italiana fiorirà come per magia.

Le vincitrici, secondo la ministra, sono “ricercatrici di straordinaria innovatività” impegnate in temi di punta come biotecnologie, cambiamenti climatici, immunoterapia oncologica, nanotecnologie e robotica, ambiti dove il supercalcolo è la parola d’ordine. Tradotto: hanno sotto controllo il futuro. Mica roba da poco.

Bernini sembra persuasa che la collaborazione tra università, ricerca, imprese e organizzazioni internazionali costituisca “la soluzione ecosistemica migliore in assoluto”. E chi siamo noi per dissentire? L’apice del tutto è che a guidare questa rivoluzione scientifica siano proprio le donne, cosa che “è una grande soddisfazione”, perché, udite udite, si sta colmando il gap di genere nelle discipline STEM — con una crescita femminile visibile negli ultimi tre anni.

Il ministro, in un impeto di sincerità, ammette che “avere un punto di vista diverso è quello che cambia il mondo” e che purtroppo questo punto di vista femminile è stato spesso ignorato, nonostante abbia cambiato tutto senza chiedere permesso. Il suo ruolo, quindi, si riduce a far finalmente riconoscere quel contributo femminile che ha sempre fatto il lavoro sporco nel silenzio e che ora, con l’aiuto dei premi e delle luci della ribalta, potrà finalmente brillare sotto i riflettori della scienza italiana. Amen.

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