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Lvmh, ricavi deludono le aspettative e scendono del 3%
«Entriamo nel 2025 con fiducia» ha affermato Bernard Arnault, presidente e CEO di LVMH, a fine gennaio, mentre rivelava i dati di bilancio per il 2024. Ma i risultati del primo trimestre si rivelano un deludente risveglio; i ricavi hanno subìto un abbassamento del 3%, scendendo a 20,3 miliardi di euro, ben al di sotto delle attese degli analisti. In un clima macroeconomico che definire incerto è un eufemismo, i consumatori di beni di alta gamma hanno frenato i loro acquisti. Già, ricordate quando ci si aspettava una crescita del 2% per il periodo gennaio-marzo 2025? Ecco, è successo esattamente l’opposto.
Se gli stilisti hanno le loro colpe
La divisione fashion & leather goods, che include nomi illustri come Louis Vuitton e Dior, ha visto un calo anno su anno del 5%, con vendite che si sono fermate a 10,1 miliardi di euro. Un vero paradosso, considerando che il trimestre precedente aveva fatto registrare ricavi di 11,1 miliardi, che non solo erano attesi, ma quasi garantiti! Secondo gli analisti di Bernstein, il marchio Dior si sarebbe rivelato la principale zavorra della performance, con una direzione creativa che tarda a mostrare i suoi frutti. Ma ciò non è sorprendente, dato che il 2024 aveva già visto una flessione dell’1% nel suo fatturato, a fronte di un gruppo che nel suo complesso è cresciuto dell’1%. Un caso esemplare del conservatorismo moda che non riesce a recuperare il terreno perduto.
La geografia dei sogni infranti
Le anticipazioni riguardo a una ripresa da parte dei consumatori statunitensi benestanti si scontrano con una realtà più amara. Timori di recessione incombono, e i venditori di lusso devono registrare un calo del 3% negli USA, e un sorprendente -11% in Asia (già escluso il Giappone), che ha visto un -1%. L’Europa sembra l’unico faro di speranza, con un incremento del 2% nelle vendite. Ma chi si illude che un rientro in forma di “esplosione di vendite” possa risolvere la situazione? Si disilludono.
I dazi: un’arma a doppio taglio
Il settore del lusso può vantarci margini elevati e la possibilità di aumentare i prezzi per assorbire l’onere dei dazi imposti da Trump. Ma sarà sufficiente? Un’aliquota del 20% su moda e pelletteria europee e un 31% sugli orologi svizzeri sono una spada di Damocle che aleggia sopra il settore. Le promesse di stabilità in un contesto geopolitico e economico turbolento come quello attuale si rivelano più una bella frase da annunciare piuttosto che un’asserzione valida.
In questo affresco di contraddizioni e illusioni, ci si chiede: che cosa potrebbe realmente salvare il settore? La ripartenza di un crampo creativo, la necessità di un ripensamento totale, o magari, azzardiamo, un cambiamento di rotta incisivo? Ma chissà, forse continueremo a parlare di fiducia nel futuro mentre il presente evidenzia vuoti incolmabili.