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Mercati in crisi? Preparati a navigare il caos degli investimenti nei prossimi sei mesi

Divergenze – Le economie principali non sembrano per nulla d’accordo su nulla, e questo balletto di instabilità non fa altro che alimentare la confusione nei mercati. Insomma, se qualcuno aveva sperato in un’armonia economica globale, può tornare a sognare (magari la prossima volta gratis).
Prevedere lo sviluppo dei mercati finanziari nei mesi a venire è diventato lo sport preferito dagli analisti, nonostante il caos politico globale e i dazi di Donald Trump che sembrano riempire ogni giornata di incertezza. Tra slogan e politiche imprevedibili, le società di gestione del risparmio cercano di individuare le cosiddette “opportunità” per gli investitori a caccia di guadagni. Dai rapporti più recenti di Amundi, leader nel mercato europeo, emerge un quadro per i prossimi sei mesi che possiamo riassumere così: sì, è un casino, ma forse si può ancora investire.
Partiamo da un punto fondamentale: l’approccio degli Stati Uniti al commercio e alle relazioni internazionali non è solo ambiguo, è una rivoluzione strutturale destinata a durare ben oltre l’attuale amministrazione. L’imprevedibilità delle politiche crea un clima da incubo che, ovviamente, mette in crisi economia e mercati. Ma se siete degli eterni ottimisti, vi farà piacere sapere che questo scenario da soap opera internazionale nasconde anche delle “opportunità” legate ai prezzi degli asset. Anche se la crescita stenta, le aziende e le economie principali sembrano ancora nettare di resilienza e il mercato del credito continua a galleggiare – per miracolo.
Vincent Mortier, il guru degli investimenti di Amundi, snocciola con classe la situazione: i mercati obbligazionari governativi tremano sotto il peso dell’aumento del debito pubblico e della paura di un’inflazione galoppante. La volatilità è alle stelle, e gli investitori si preparano a chiedere un premio extra per sorbirsi titoli a lungo termine. Quindi, tanto vale giocare la carta della diversificazione uscendo fuori dal recinto statunitense, puntando su obbligazioni europee e dei mercati emergenti, dove “i rendimenti dovrebbero essere più interessanti”. Sembra quasi una strategia infallibile… almeno fino al prossimo colpo di scena.
Più nello specifico, Monica Defend, a capo dell’istituto d’investimento di Amundi, ci offre qualche dettaglio in più. Nonostante il caos politico, la tenacia delle imprese, la riorganizzazione nella catena degli approvvigionamenti e i possibili tagli dei tassi da parte delle banche centrali potrebbero generare qualche scintilla positiva sui mercati azionari globali. Dove concentrarsi? Ovviamente su temi di romanzo geopolitico: la spesa europea per la difesa che fa sobbalzare tutti, la deregolamentazione americana che promette sorprese, la riforma della governance aziendale in Giappone, e quell’iniziativa “Make in India” che non si capisce mai se sia una fabbrica di sogni o di problemi.
Lo scenario per il secondo semestre 2025
Incertezza – Se pensavate che la politica americana vi stesse offrendo qualche certezza, rassegnatevi: il futuro fiscale degli USA è un campo minato di decisioni inspiegabili. Il rischio geopolitico si somma a un debito pubblico alle stelle e a margini fiscali così risicati da far tremare anche i più coraggiosi. Insomma, la torta economica potrebbe apparire succosa ma è truccata da trappole ovunque.
Divergenze – Le economie principali non sembrano per nulla d’accordo su nulla, e questo balletto di instabilità non fa altro che alimentare la confusione nei mercati. Insomma, se qualcuno aveva sperato in un’armonia economica globale, può tornare a sognare (magari la prossima volta gratis).
Quindi, cosa fare? Semplice, mescolare bene asset diversi, tenere d’occhio l’euro e i mercati emergenti e pregare che l’inarrestabile macchina delle crisi non trovi un nuovo carburante. Nel frattempo, preparatevi a un semestre all’insegna dell’incertezza, qualche opportunità mascherata e tanta buona dose di ironia, perché nel mondo degli investimenti oggi, più che mai, la lucidità si compra cara.
Resilienza? Sì, certo, ma con qualche deviazione di percorso. Preparatevi a una performance lenta e noiosa degli Stati Uniti, mentre l’Europa si crogiola in una crescita “moderata” e l’India si prende il palcoscenico principale, come sempre pronta a stupire chiunque non abbia occhi davvero aperti. Le differenze nella crescita economica, l’inflazione – quell’ospite invadente – e le strategie fiscali saranno il carburante perfetto per un balletto di politiche monetarie divergenti e, perché no, anche un po’ confusionarie.
Dixit la “allocazione moderatamente orientata al rischio”. Ah, che novità! Questo mirabolante “riadattamento” dell’economia globale e dei mercati finanziari promette una splendida rotazione azionaria verso l’Europa e i mercati emergenti, come se ci fosse bisogno di un altro motivo per guardare altrove e dimenticare gli Stati Uniti. Nel frattempo, aspettatevi curve dei rendimenti che si impenneranno come adolescenti ribelli, con investitori che, come sempre, esigeranno premi di rischio più sostanziosi per le obbligazioni a lungo termine, mentre quelle a breve giocheranno a fare le brave con tassi più bassi.
Sul fronte della “resilienza e diversificazione”, la posizione di Amundi è ovviamente “moderatamente propensa al rischio”. E come no, con coperture rafforzate contro inflazione e cambio, perché un po’ di paranoia manageriale non guasta mai. Puntare su temi a lungo termine e scommettere selettivamente su asset reali e alternativi dovrebbe, in teoria, aiutare gli investitori a sopravvivere agli umori di giornata dei mercati e alle loro oscure correlazioni mutevoli. In pratica, buona fortuna.
Sette consigli preziosi per una seconda metà dell’anno fatta di sorprese
Partiamo dal favoloso impatto dei dazi e della politica fiscale sull’economia americana. Previsioni? Nel 2025 il PIL reale degli Stati Uniti rallenterà, passando da quel 3% quasi al limite del miracolo negli anni 2023-2024 a un povero 1,6%. Colpa principalmente della domanda privata, ormai stanca di questi balletti tariffari. I prezzi saliranno, certo, grazie ai dazi più alti, che a loro volta deprimono il sentimentalismo dei consumatori e le loro spese. Gli investimenti vivranno nell’incertezza, ovviamente. Le finte promesse di misure fiscali e deregulation sono lì a far contente le orecchie di chi spera in un miracolo, ma l’effetto sarà tutto fuorché radicale. Se i dazi si assesteranno intorno al 15%, come da copione, allora sì che la crescita farà un bel balzo indietro mentre l’inflazione farà un temporaneo, ma poco gradito show.
E cosa accadrà in risposta a questa danza di tassi? Beh, aspettatevi, nel secondo trimestre, che la Federal Reserve si butti a capofitto in tre tagli dei tassi di interesse, come se questo fosse il santo graal per tutto il resto. Salve miracoli economici!
Nel bel mezzo di questo scenario da circo, i rischi politici si fanno sempre più consistenti, quindi la parola magica è—indovinate—diversificazione. Viviamo, infatti, in un quadro geopolitico da manuale, uno di quelli con conflitti, dazi che piovono come grandine e un ridotto impegno degli Stati Uniti per la sicurezze europea. La logica dice che questo potrebbe addirittura rafforzare l’Europa, spingendo i suoi capi a cantare in coro i vantaggi della contrattazione collettiva e a trovare nuovi partner commerciali, sempre con quell’aria speranzosa da diplomatici disperati. Nel frattempo, le relazioni tra USA e Cina? Peggioreranno ancora, ma ovviamente, tutti eviteranno un’escalation di quelle in stile blockbuster. Insomma, la solita danza del gatto e del topo. Nel frattempo, la gente cercherà altrove quelle opportunità di investimento che gli USA non sembrano più in grado di garantire, magari buttandosi sull’Europa e gli asset emergenti con un sorriso sardonico.
Per quanto riguarda l’asset allocation e le coperture inflationistiche, nonostante la crescita poco entusiasmante, Amundi esclama con un certo orgoglio: niente recessione degli utili aziendali! Le aziende, a sorpresa, si mostrano coraggiose, resistendo come cani da guardia a ogni intemperie economica. Questa situazione, insieme al balletto annunciato dei tassi di interesse da parte della Fed, spinge a mantenere un’asset allocation leggermente ottimista, con coperture anti-inflazione ben salde. Ecco perché si preferiscono le azioni globali, con un occhio critico alle valutazioni e al loro controllo dei prezzi, insieme a investimenti in materie prime, oro e altre coperture contro il rischio di una crescita negativa, chiamata scherzosamente “mondo dominato dall’incertezza geopolitica”. E che dire delle infrastrutture? Offrono flussi di cassa stabili, sempre una bella parola per addolcire la pillola della volatilità. Ah, e gli investitori faranno bene a diversificare il rischio valutario, visto che le correlazioni tra dollaro, azioni e obbligazioni sembrano cambiare forma più spesso di un camaleonte in discoteca.
Nel frattempo, il credito europeo e le obbligazioni dei Paesi emergenti sembrano godere di favori particolari. Perché? Semplice: in un mondo incerto, con questioni commerciali in ballo e debiti che lievitano come lievito madre, qualcuno deve pur fare da colonna portante. Ecco, fate voi.
Ah, il magico mondo degli investimenti! Viviamo in un’epoca in cui il pubblico si ritrova sommerso da una montagna di obbligazioni, e come se non bastasse, gli investitori iniziano a pretendere premi più succosi per comprarsi quei meravigliosi Treasury statunitensi. Non è un piacere? Ovviamente, nei Paesi sviluppati, i rendimenti a lungo termine dovranno sorbirsi una bella pressione ribassista, mentre le banche centrali – come quei genitori apprensivi – continueranno a tagliare i tassi, sostenendo con affetto le obbligazioni a breve termine e creando una curva dei rendimenti più ripida, tanto per complicare la vita agli operatori. Se volete essere svegli, meglio puntare sulle obbligazioni corporate di qualità, possibilmente investment grade in euro, così potrete godervi un bel mix di obbligazioni finanziarie e credito subordinato. Delizioso.
Passiamo alle azioni, il regno delle rotazioni infinite e dei dazi che fanno più danni di un uragano inatteso. Nel secondo semestre, aspettatevi che i rendimenti azionari facciano a gara per stare ben sotto la fatidica soglia del 10%, ma non temete: le rotazioni, quelle sì, non conosceranno tregua. L’Europa, con la sua allure sempre più affascinante, si guadagna un posto in prima fila, soprattutto per quelle azioni a piccola e media capitalizzazione, che continuano a sedurre con valutazioni irresistibilmente interessanti. E sul piano globale? Non fatevi ingannare dalla faciloneria, la selezione settoriale sarà la regina dello spettacolo: meglio scegliere settori domestici, orientati ai servizi, che sono le uniche zone dove i dazi non sembrano dare il meglio di sé. E non perdete di vista i temi caldi come la deregulation negli Stati Uniti, la difesa europea, le infrastrutture, e la riforma della Borsa di Tokyo – perché non c’è niente di più trendy che investire in un mercato che si rifà il trucco.
L’India e i Paesi emergenti: i nuovi bambini prodigio del mercato globale
Salutate i campioncini del secondo semestre: l’India e i Paesi emergenti, gli eroi emergenti del riassetto globale che tutti noi stavamo aspettando con ansia. Grazie a una ripresa macroeconomica a prova di bomba e a una inflazione finalmente meno dispettosa, queste nazioni si preparano a tirare su la testa mentre l’eccezionalismo statunitense si prende una meritata pausa. La strategia “Made in India” non è soltanto una trovata di marketing: sta davvero attirando in massa multinazionali, soprattutto nei settori della difesa e dell’informatica. Non sono solo fabbriche a buon mercato; sono veri e propri centri di crescita dinamica, alimentati da cambiamenti strutturali robusti e da un’ampia base di consumatori desiderosi di spendere. Che gioia per gli investitori!
Alternativi e reali: come continuare a fare i sofisticati
Se pensavate che diversificare fosse roba da principianti, preparatevi a rimanere stupiti: in un contesto geoeconomico sempre più complesso, la parola d’ordine è aumentare la diversificazione, ma con stile e selettività. Gli asset privati fanno sempre più gola, specie se domestici e dotati di una resilienza degna di una supereroina. In questo scenario, il debt privato e le infrastrutture si candidano a spiccare, con il primo che sembra poter contare su un diret lending robusto e una raccolta fondi da far invidia, mentre le infrastrutture diventano l’ultimo rifugio per chi cerca una scialuppa anti-inflazione. Perciò, se volete mantenere il vostro status di investitori all’avanguardia, non dimenticate di guardare in queste direzioni con occhi languidi e portafogli aperti.