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Minibond: il 2024 promette rilancio, ma la richiesta delle piccole e medie imprese rallenta

Dopo la battuta d’arresto del 2023, l’industria italiana dei minibond, quelle emissioni sotto i 50 milioni di euro destinate a società non finanziarie, si è ripresa nel 2024. Strano come, dopo anni di stagnazione, basti un battito di ciglia per riprendersi. Ma dietro questo apparente rinascimento si cela una realtà ben più complessa. Queste emissioni dovrebbero rappresentare una forma di finanziamento alternativa e complementare al credito bancario, una mossa per diversificare le fonti e accedere a un mercato affollato di investitori professionisti. Eppure, chi si illude che i minibond siano la panacea per tutte le difficoltà delle imprese italiane, dovrebbe fare una pausa e ripensare un attimo.

Un pieghevole ottimismo sul futuro?

L’Osservatorio Minibond del Politecnico di Milano prevede un’espansione nel 2025, sempre che non ci siano brutte sorprese dal quadro macroeconomico. Ma chi lo sa? La crescita totale si è attestata a 1,515 miliardi, il che porta il valore nominale totale a 12,56 miliardi, grazie a 1.339 imprese dal 2013. Fin qui tutto bene, se non fosse che il salto del 32% difficilmente può essere attribuito che alle grandi aziende. Le piccole e medie imprese (Pmi), ahimè, hanno visto un capitolo in calo: 686 milioni nel 2024. Di che progresso stiamo parlando?

Le Pmi: un destino in discesa

Le emissioni di titoli di debito inferiori a 50 milioni sono aumentate a 208, ma il 26% di queste ha un importo inferiore ai 2 milioni. Si sente quasi il profumo del riscatto? Non proprio. Con 20 minibond green, 3 social e 19 sustainability-linked, si arriva a un umile controvalore di 233,70 milioni. Sì, il 15% di quota di mercato, il che fa sempre effetto. Intanto, le 178 emittenti di minibond del 2024, di cui 105 Pmi, sono soltanto un tentativo di incoraggiare la crescita, ma non possiamo ignorare il fatto che il 64% delle emittenti sono SpA e solo il 33,2% Srl. Chiaramente, una spinta verso il lusso di diventare grandi nel bel paese.

Un sistema malato?

E mentre si parla di migliorare l’accesso al capitale per le Pmi, emergono noti fattori frenanti come i costi diretti di emissione. La sacra burocrazia che opprime gli ardenti imprenditori continua a imperversare. Giancarlo Giudici, titolare della consultazione, sembra ottimista, ma è un’illusione. I minibond possono moltiplicare i volumi? Solo con l’intermediazione di investitori professionali. Altrimenti, chi ha tempo e voglia di cimentarsi con un mercato all’apparenza proficuo ma ingessato?

La geografia dei minibond ricalca quella della disuguaglianza: la Lombardia la fa da padrona con il 39,9% delle emissioni. Il Lazio e il Veneto seguono a debita distanza. La Campania, in un triste crollo, si ritrova scalzata. Insomma, una mappa che evidenzia le disparità e i limiti di un sistema che, con le sue garanzie pubbliche, prometteva un mondo migliore, ma si è arenato in un mare di contraddizioni e promesse non mantenute.

Riforme fallite e sogni infranti

A che punto siamo con i progetti di riforma che avrebbero dovuto sbloccare il mercato? Nemmeno un accenno di crescita radicale. Gli arrangiatori indipendenti si contano sulle dita di una mano e nelle province più disagiate, i minibond sono un’opzione rarefatta. Davvero sorprendente per un paese che si vanta di avere una ricca tradizione imprenditoriale.

Magari potremmo immaginare soluzioni di largo respiro, come un’effettiva revisione delle normative che frenano le piccole e medie imprese, o un supporto più incisivo per la creazione di reti di collaborazione tra investitori e aziende. Ma in un clima dove le affermazioni ottimistiche si scontrano con una realtà di stagnazione, è difficile mantenere viva la speranza. Chissà, forse un giorno il sistema capirà che l’inefficienza non deve per forza essere il modo di lavorare, ma fino ad allora, continuare a osannare i minibond sembra un esercizio di pura retorica.

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