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Mondiale per Club: la Fifa mette all’asta la dignità del calcio mondiale

Mondiale per Club: la Fifa mette all’asta la dignità del calcio mondiale

Un evento globale che dovrebbe trasformare il calcio per club in uno spettacolo planetario e coerente, ma il Mondiale per Club della Fifa negli Stati Uniti al momento è tutto fuorché questo. In campo si susseguono partite che oscillano tra il deprimente 0-0 e l’incredibile 10-0, con viva noia su entrambi i fronti. Qualche raro barlume di divertimento è arrivato solo da squadre come Boca Juniors e Benfica, che almeno hanno provato a smuovere l’atmosfera. Ma il vero tocco di geniale demotivazione alla festa lo regala il pubblico americano. Il flop manifesto? La disfida tra il Chelsea e il Los Angeles FC, tenutasi ad Atlanta. Nello sfarzoso Mercedes-Benz Stadium, capace di ospitare 71mila anime, si sono sedute soltanto 22mila persone. Già, meno di un terzo delle poltroncine occupate in una domenica… pardon, in un eccessivamente ambizioso lunedì feriale alle 15. Il mister dei Blues, Enzo Maresca, ha commentato con la professionalità tipica del momento:

“L’ambiente era un po’ strano, lo stadio era quasi vuoto. Non siamo abituati a quest’atmosfera, ma dobbiamo adattarci”.

Oltre a questa scena da “torneo per fantasmi”, anche altre partite hanno regalato deliziose “cornici” di pubblico che sfidano la logica: Palmeiras-Porto ha viste sedersi solo 46mila spettatori in uno stadio all’80% vuoto (con una capienza da 82mila), mentre in Botafogo-Seattle i presenti erano poco più di 31mila su 69mila posti disponibili. Insomma, sembrerebbe che la Formula 1 americana non abbia più spettatori fuggiti in massa a vedere un calcio che probabilmente nessuno ha capito bene cosa voglia essere.

Il pubblico americano: un pubblico? Forse no.

Uno degli argomenti del momento ruota intorno al profondo disinteresse degli spettatori statunitensi verso questo super evento. Non è certo un segreto che il calcio sia lo sport meno amato nel panorama sportivo americano, ma se poi le partite si svolgono rigorosamente durante un normale orario lavorativo, come sperare che qualche eroe mosso da passione e follia riesca ad apparire in tribuna? Doug Roberson, giornalista del Atlanta Journal-Constitution, non ha esitato a dare una diagnosi tagliente alla BBC:

“Non c’è gente perché sono le 15 di lunedì. Mi sorprende che ci siano così tante partite a quest’ora in settimana. È un torneo che non significa nulla per gli americani. Pagare per un evento sconosciuto non è certo allettante, soprattutto con la Coppa del Mondo alle porte, quando la gente preferisce mettere da parte i soldi. Poi vogliamo parlare dei prezzi esorbitanti dei biglietti? Un’idea assurda”.

Già, perché oltre a giocare in orari improbabili, c’è anche la piccola chicca commerciale: far pagare prezzi da capogiro per assistere a manifestazioni che davvero faticano a richiamare un pubblico degno di questo nome. Forse il concetto di evento “globale” avrebbe richiesto un pizzico più di attenzione al contesto e meno fantasia da consulenti marketing che hanno ideato questo pastrocchio.

A tal proposito, da non perdere è l’episodio della gara inaugurale che ha visto protagonista l’Inter Miami di Lionel Messi, un appuntamento che avrebbe dovuto infiammare gli spalti americani ma che invece ha confermato tristemente quanto questa manifestazione fatichi a decollare nel paese che ospita il tutto.

Il match tra Al-Ahly e l’altra squadra, svoltosi nell’imponente Hard Rock Stadium, ha attirato una folla di circa 60mila spettatori, su una capienza disponibile di ben 65mila. Un risultato da applausi, se non fosse per il piccolo dettaglio che trasforma questa “prestazione” in un pittoresco disastro commerciale.

Infatti, a dicembre scorso, quando furono annunciati i gironi e messi in vendita i primi biglietti, il prezzo più “popolare” si aggirava attorno ai sorprendenti 349 dollari (più o meno 300 euro). Una cifra tale da far svenire un fan medio con un minimo di buonsenso economico. E, come prevedibile, il pubblico americano è rimasto a bocca asciutta. I giorni passavano e i biglietti continuavano a languire nelle casse, invenduti come souvenir degli anni ’80.

Come ogni buon maestro del marketing disperato, Gianni Infantino ha dunque sfoderato la sua arma segreta: la svendita vergognosa. Testate autorevoli come il New York Times e il The Guardian hanno documentato il suo capolavoro, siglando un accordo con il Miami Dade College — la genialità dell’offerta? Cinque biglietti per le partite ospitate a Miami a soli 20 dollari totali, ossia 4 dollari a incontro. Prezzi da bancarella del mercato, praticamente un affare da non lasciarsi scappare, se non fosse che racconta tutto meno che l’esclusività di un torneo mondiale.

Ma la creatività da venditori dell’ultima ora non si è fermata qui. La paura di mostrare al mondo uno stadio semivuoto, roba da far piangere le leggende del calcio, ha portato ad altre brillanti trovate: biglietti omaggio regalati a turisti impegnati nei city tour della città e a clienti delle catene di elettrodomestici, purché avessero comprato un tostapane o un phon. Un’offerta imperdibile per gli amanti del calcio e dell’elettrodomestico.

Paradossalmente, queste iniziative sono state replicate in altre città ospitanti le partite. Ma il risultato non è cambiato di molto: stadi grandi da far paura, vuoti come il dibattito sul futuro del calcio, e un pubblico dove sembra regnare l’unica vera star del torneo, cioè l’indifferenza.

Questo Mondiale per Club, concepito (o almeno promesso) come il Super Bowl del calcio mondiale, si è trasformato così in una sfilata di amichevoli di lusso. Un’epopea triste di impianti sottoutilizzati, entusiasmo latitante e biglietti svenduti a prezzi da saldo dopo-saldi. Insomma, un modello di successo a modo suo, se per successo intendiamo il massimo dell’insuccesso con un tocco di grottesca ironia.

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