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Movi si vanta della certificazione di parità: finalmente un ambiente di lavoro inclusivo o solo una facciata ben lucidata?

Un’impresa italiana supera la mediocrità nazionale e conquista la certificazione di parità di genere che quasi nessuno ha.
Movi ha strappato con orgoglio l’ambita certificazione Uni/PdR 125:2022 per la parità di genere, un riconoscimento tanto raro quanto necessario che testimonia un impegno – finalmente – concreto verso un ambiente lavorativo meno old style e più rispettoso delle differenze. Nel mare di aziende italiane che ancora fanno finta di niente o snobbano il tema, meno dell’1% può vantare questa certificazione. Quindi, chapeau.
Se pensavate che l’Italia fosse avanti in tema di uguaglianza, il Global Gender Gap Report 2024 vi ricorderà brutalmente che siamo 87esimi su 146 paesi, scivolando persino rispetto all’anno precedente. Femminilizzazione dei vertici? Scarsa. Partecipazione economica? Ancora più scarsa. Occupazione femminile al 56,5%, una delle peggiori in Europa, niente da festeggiare insomma. Ed è proprio in questo circo che l’operazione di Movi pesa.
Il progetto di Movi, azienda italiana con oltre un secolo di esperienza nel settore dei dispositivi medici – da anestesia a diabetologia fino a ausili per disabilità – non è una semplice perdita di tempo aziendale, ma un percorso reale e tangibile verso un’organizzazione più equa. Come spiega Alessandro Bolognini, direttore risorse umane:
“La riflessione su diversity, equity e inclusion è nata da un sentimento autentico, condiviso dai piani alti fino al più piccolo impiegato. Non è una moda, ma un desiderio vero di migliorare il modo in cui lavoriamo e collaboriamo.”
Non contenti di qualche inutile slogan da cortesia, hanno messo su una survey interna coinvolgendo oltre il 70% dei dipendenti: una percentuale alta da far impallidire più di qualche leader aziendale pigro. Da lì si è formata una task force volontaria di circa venti persone impegnate per tutto il 2024 nel reinventare una cultura aziendale inclusiva.
Laboratori, workshop, momenti di riflessione su comunicazione inclusiva, accoglienza e rispetto: non parliamo di operette di facciata, ma di interventi che hanno portato a risultati concreti come la revisione profonda dei valori aziendali, la creazione di un Welcome Kit simbolico per i nuovi arrivati e una comunicazione interna più trasparente e partecipativa.
Questa task force, che – sorpresa – ha avuto vita e voce propria, è diventata una vera e propria fucina culturale e il passo successivo è stato logico: trasformare questo lavoro in un impegno misurabile tramite certificazione ufficiale. Così, dall’ottobre 2024, Movi ha intrapreso il processo per ricevere la Uni/PdR 125:2022, coinvolgendo tutta la squadra.
Ci stiamo confrontando con parametri oggettivi per verificare se quella tanto decantata “sensibilità” aziendale fosse realmente riflessa nei numeri e nelle pratiche quotidiane – ci spiega con la solita modestia Bolognini. Il risultato? Nulla di eclatante, ma abbastanza per farci credere che stiamo andando “nella direzione giusta”, anche se, ovviamente, il traguardo è ancora un miraggio.
Il percorso perfetto del politically correct prevede la redazione della politica aziendale per la parità di genere, ora orgogliosamente esposta sul sito di Movi. Come se la pubblicazione basterà a risolvere ogni cosa. Nel pacchetto anche l’analisi dei rischi (per fortuna non quelli di un naufragio economico), la definizione di un piano strategico triennale – con obiettivi chiari, si suppone, anche se certamente avvolti in una nebbia di parole d’ordine – e un mucchio di corsi formativi. Spiccano quelli sul linguaggio inclusivo e la prevenzione dei bias inconsci, perché, si sa, se non ci si forma adeguatamente, si rischia di offendere anche se stessi.
Tutti i cosiddetti people manager hanno partecipato a sessioni ad hoc, per affinare le tecniche di selezione del personale, quel magico momento dove la meritocrazia dovrebbe fare capolino. La certificazione, vecchio toccasana, è stata consegnata dopo un doppio audit: uno documentale a marzo 2025 e uno operativo ad aprile. Il punteggio? 80 su 100, senza alcuna non conformità, ma con qualche pennellata di suggerimenti migliorativi (quelle che non si dica mai che non si sia perfetti, ovviamente). E naturalmente, la formazione continua è il mantra.
I dati snocciolati durante l’audit dipingono un quadro da cartolina: 191 dipendenti, di cui ben 101 donne e 90 uomini, con una generosa rappresentanza femminile anche nei ruoli manageriali della sede. Bisogna applaudire il fatto che tutto il personale commerciale, 83 individui, riceve una parte variabile della retribuzione senza discriminazioni di genere, arrivando, udite udite, a valori medi uguali tra uomini e donne. Un welfare aziendale, quello sì, inclusivo, recentemente potenziato con un contributo extra per genitori di bimbi da 0 a 3 anni, in ossequio alle norme – perché a nessuno piace fare le cose a metà.
Chiara Gatti, Jr. hr manager dell’azienda, ci tiene a sottolineare:
“Questa certificazione è la conferma di un’attenzione che Movi ha sempre avuto verso le persone, ma anche una spinta a tenere alta la guardia, a non fermarsi. È un punto di partenza per un’evoluzione continua.”
Nel frattempo, mentre Movi continua a inseguire la crescita in un mercato feroce come pochi, l’attenzione per le persone rimane il suo vessillo. Come se bastasse. Bolognini conclude con un brillante aforisma da manuale aziendale:
“Un ambiente più consapevole genera migliori relazioni e, di riflesso, anche migliori risultati.”
In pratica, la certificazione non è un trofeo da esibire in sala mensa, ma un segnale che, udite udite, si sta andando nella direzione giusta. Auguriamoci solo che la rotta non sia troppo dritta, altrimenti rischiamo la noia mortale.