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Myanmar, Barilla sostiene le comunità devastate dal terremoto

Myanmar, Barilla sostiene le comunità devastate dal terremoto

La Fondazione Alimenta, creata da Barilla nel 2009, ha deciso di elargire una donazione all’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati, per sostenere gli interventi di emergenza a seguito del catastrofico terremoto che ha raso al suolo parti del Myanmar. Un gesto che, a prima vista, sembra nobile e rispettabile, ma che solleva immediatamente interrogativi sulla reale efficacia di tali contributi in una situazione di emergenza.

Il terremoto, un vero e proprio dramma, ha fatto vittime e provocato milioni di sfollati, distruggendo abitazioni, scuole e ospedali. Le immagini di questo disastro mettono in evidenza una situazione non solo drammatica, ma grottescamente ripetitiva in un paese già lacerato dalla crisi. Ecco allora che Barilla si schiera dalla parte dei “bisognosi”, con dichiarazioni piene di empatia, ma un attimo, ci si aspetterebbe almeno una critica al sistema che ha portato a questa emergenza.

Offrire aiuti mentre si dimentica il contesto

L’UNHCR ha avviato una campagna internazionale di raccolta fondi, un’iniziativa che, in teoria, dovrebbe colmare le falle di un sistema inefficiente di gestione delle emergenze. Ma chi esamina seriamente la situazione sa che l’aumento dei fondi non garantisce necessariamente risultati concreti. La reazione dell’UNHCR si concentra sulla gestione degli sgomberi e sulla distribuzione di beni di prima necessità, ma si fa sempre più evidente che, senza un’implementazione efficace, deriva solo un ciclo di aiuti che si esaurisce nei numeri, solo per poi tornare a ripetere gli stessi fallimenti.

“Vogliamo offrire un contributo concreto”, afferma Barilla, ma che tipo di “concreto”? Un supporto tangibile alle comunità locali, o è solo un tentativo di lavarsi la coscienza? Le comunità colpite si trovano alla mercé delle promesse che dopo un po’ svaniscono come la polvere sollevata dal terremoto stesso.

Il paradosso dell’assistenza umanitaria

È interessante notare come simili calamità siano sempre preludio a una pioggia di “iniziative filantropiche” da parte di grandi aziende. Ma, piuttosto che promuovere un reale cambiamento, questi sforzi di solidarietà sono spesso solo una goccia nel mare di una burocrazia opprimente e recalcitrante che, di fatto, ostacola neonati programmi di sviluppo a lungo termine. La vera domanda è: perché le così dette “soluzioni a lungo termine” non sono mai messe in campo, e ci si limita a rispondere a casi d’emergenza?

La Fondazione aiuta a rafforzare interventi sul campo, certo, ma è un modo per affrontare una piaga ben più profonda e strutturale? Le comunità hanno bisogno di più che un sostegno temporaneo; necessitano di strategie nuove e innovative. Ma chicche di questo tipo, ahinoi, si perdono nei meandri di un’offerta assistenziale tradizionale e obsoleta.

Promesse da marinaio?

Invece di una vera riflessione sulle cause di tali tragedie, ci troviamo ad assistere a eventi mediatici che brillano più per la pompabilità che per l’efficacia. Immaginate se, invece di un’ulteriore donazione, Barilla decidesse di investire in progetti di sviluppo sostenibile nel Myanmar. Ma questo richiede coraggio e visione a lungo termine, e chissà se siamo pronti a fare un passo così audace.

In conclusione, mentre i fondi fluiscono, le domande rimangono: a cosa serve realmente questo aiuto? Servirà a riparare un sistema profondamente rotto o diventerà solo un altro esempio di come l’assistenza umanitaria possa essere tanto effimera quanto superficiale? Le promesse rimangono nell’aria, ma la vera sfida, quella di trasformare un’idea in realtà, è lontana da essere realizzata.

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