Notizie
Nel 2024 cresce il numero dei tesserati: +5,17 milioni e oltre 22 mila nuove iscrizioni

Il numero degli iscritti alla Cgil cresce, eppure il riscontro è da manuale di economia applicata. Nel 2024, il totale tocca i 5.172.844, con un incremento di 22.959 tesserati rispetto all’anno precedente: un +0,45% che sembra quasi un errore di battitura. Gli attivi, che finalmente si muovono, aumentano di 71.019 unità (+2,65%), ma siamo ancora lontani dalla fanfara di una vera rivoluzione. Al contrario, i pensionati registrano un’inquietante diminuzione di 48.060 unità (-1,95%), lasciando 2.419.020 iscritti, un dato che fa sorridere solo gli analisti più ottimisti.
La demografia del disastro: attivi sempre più giovani, ma il malessere resta
Ormai gli affezionati alla Cgil non possono ignorare che il cuore pulsante di questo incremento di attivi è rappresentato dalla fascia d’età fino a 35 anni, con un +24.720 unità che porta il totale a 438.409 (+5,98%). Questo dato, lungi dall’essere un segnale positivo, rivela quanto sia necessaria una chiamata alle armi per le nuove generazioni, che si trovano a dover combattere battaglie per diritti basilari. E che dire della distribuzione geografica? Nord-est 27,3%; nord-ovest 26%; Centro 24,5%; e il Sud e Isole relegato a un misero 22,2%. Le disparità continuano: la classe media si riduce come la percentuale delle donne, che con il loro 49,4% sono sempre sul punto di raggiungere parità, ma che non vedranno mai la fine delle ingiustizie.
Settori poveri e salari indegni
Nei settori produttivi, i numeri hanno un sapore amaro. Reti e terziario al 34,2%; industria e costruzioni al 28,3%; e ovviamente i settori pubblici si spartiscono il 23%. E che dire dell’agroalimentare con un triste 9,3%? Se queste cifre non sono l’epitome dell’inefficienza, non so cosa altro lo possa essere. In aggiunta, l’ulteriore incremento di 8.195 lavoratori iscritti alla Cgil di nazionalità estera (+1,68%) mostra un panorama in continua evoluzione. Quasi il 4,1% da stati membri dell’UE e un 13,9% extra UE, ma non sembra che stiamo parlando di una festa; piuttosto di una festa di non-pagati, e sì, il Marocco, l’Albania e la Romania sono i prescelti.
È davvero tutto rose e fiori?
Con tali dati, ci si aspetterebbe che il governo esclamasse: “Abbiamo fatto qualcosa per il lavoro e per il benessere!”. Ma qui il contrasto è lampante: le riforme annunciate si schiantano sulla realtà di una mancanza di visione. Come si può davvero migliorare quando i dati mostrano risultati a dir poco timidi, se non frustranti? La verità è che si naviga in un mare di parole vuote, in un sistema che promette e non mantiene.
In conclusione, il futuro sembra una favola scritta da un pessimista: più giovani nel Sindacato, una crescente discrepanza demografica che grida aiuto, e promesse impraticabili da parte di chi dovrebbe garantire un lavoro decoroso. Forse, un inizio sarebbe smettere di ballare intorno ai numeri e affrontare a viso aperto le riforme necessarie. Ma, oh, che delusione, ancora una volta, le parole volano ma le azioni restano a terra, pesanti come il piombo.