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Nobile di Agid ci ricorda che servono regole serie per Ia, privacy e sicurezza—ma chi ci crede ancora?

Nobile di Agid ci ricorda che servono regole serie per Ia, privacy e sicurezza—ma chi ci crede ancora?

L’Europa e l’Italia sono fuori gioco se continuano a concepire la regolamentazione sulla cybersecurity, la protezione dei dati e l’intelligenza artificiale come compartimenti stagni. Questa ossessione tutta italiana – e non solo – di normare a compartimenti stagni è un labirinto tanto intricato quanto inutile, un vero incubo per la pubblica amministrazione e per quel piccolo e medio tessuto imprenditoriale che deve arrancare dietro a normative parcellizzate.

Mario Nobile, direttore generale dell’Agenzia per l’Italia Digitale, ha buttato giù una realtà scomoda intervenendo alla conferenza ‘Cybersecurity & AI: Orizzonti strategici e impatti verticali’ al Senato. Ha spiegato che un vero approccio olistico dovrebbe mettere la sicurezza informatica, la protezione dei dati e l’utilità dell’intelligenza artificiale sullo stesso piano, specialmente quando si parla delle piccole e medie imprese. Insomma, il famoso “tutto insieme appassionatamente”, invece dello spezzettamento normativo che non porta altro che confusione.

Secondo Nobile, un software di intelligenza artificiale rivolto a una pmi non può essere solo innovativo, deve anche garantire sicurezza cibernetica, rispettare le normative sulla privacy e, ciliegina sulla torta, essere trasparente e competitivo. Ma pensare tutto questo come un pacchetto integrato pare una chimera nel nostro “bel paese” che persiste nel normare a silos senza colpo ferire.

Per aggiungere un po’ di pepe, Nobile ha tirato in ballo i data center, quegli eroi nascosti della rivoluzione digitale, ancora troppo pochi in Italia. Non solo sono centrali per mantenere attiva e sicura l’infrastruttura digitale, ma svolgono anche un ruolo strategico nella riduzione delle emissioni climalteranti. Come? Beh, permettendo a migliaia di agricoltori, di piccole e medie imprese manifatturiere e a chi usa il proprio veicolo di ottimizzare la loro impronta ecologica, sostituendo operazioni più inquinanti con processi digitalizzati.

Il nostro caro paese, evidentemente preso dallo sconforto o dal solito procrastinare, non ha ancora una quantità sufficiente di data center e rischia di perdere terreno. Che peccato se si pensa che non si tratterebbe solo di consumi energetici, ma del valore aggiunto che queste strutture possono portare sia al territorio in cui sono installate che all’intero sistema nazionale. Una sfida da affrontare con un po’ meno burocrazia e un po’ più di lungimiranza, insomma.

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