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Perché il mare è il nuovo oro verde che tutti fingono di voler salvare

Il mare che lambisce gli oltre ottomila chilometri di coste italiane, punteggiato da aree marine protette e paesaggi di rara bellezza, si conferma come un capitale imprescindibile per uno sviluppo sostenibile intelligente e lungimirante.
Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, ha espresso un messaggio chiaro durante il 4° Summit Nazionale sull’Economia del Mare – Blue Forum, a Roma, ricordando che il nostro mare non è semplicemente uno scenario da cartolina ma un vero e proprio motore economico da valorizzare con concretezza.
Il ministro ha sottolineato con la solita enfasi istituzionale che l’urgenza di preservare il mare si intreccia inesorabilmente con gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, un cocktail velenoso composto da inquinamento crescente e rapido declino della biodiversità. Non è un dettaglio rilassante, ma un richiamo a una visione di sviluppo che abbandoni il buonismo da salotto per abbracciare un pragmatismo fatto di cooperazione dinamica e innovazione tecnologica.
Nel discorso di Pichetto Fratin emerge un’idea chiara: il mare non è solo acqua salata ma l’asse di congiunzione tra continenti, un palcoscenico ricco di opportunità, soprattutto nel campo energetico. Il governo, ci assicura, vuole sbloccare questo potenziale “immenso”. E come? Innovando il trasporto marittimo, vero anello debole della catena verso la decarbonizzazione, puntando su quei biocarburanti tanto citati e poco visti all’opera.
Un altro cavallo di battaglia è rappresentato dalle aree portuali, destinatarie di un’attenzione speciale attraverso il programma “Green Ports” inserito nel più ampio Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Si tratta di investimenti che dovrebbero migliorare l’efficienza energetica strutturale e operativa delle infrastrutture portuali, come se bastasse qualche veste green per nascondere le criticità di un sistema ancora largamente inefficiente e inquinante.
Ma non finisce qui: l’Italia punta anche a diventare protagonista nel campo delle energie rinnovabili offshore, quelle estranee alla terraferma, con piani ambiziosi per trasformare il Mediterraneo in un crocevia energetico di nuova generazione. Nel disegno del ministro compaiono “rotte energetiche” costruite attraverso partnership internazionali robustissime e l’impegno di colossi del settore, tutto per garantirci, si spera, sicurezza e sviluppo. Ovviamente, parole d’ordine come “sicurezza” e “opportunità” suonano meglio di qualsiasi realtà amministrativa, dato che sappiamo bene come spesso le promesse si perdano tra burocrazia e lentezze.
Alla fine, la narrazione ufficiale è chiara: il mare italiano non è solo un capolavoro naturalistico da ammirare distrattamente ma un asset strategico da sfruttare con decisione e innovazione, seppur incorniciato da sfide gigantesche come il cambiamento climatico e la necessità di una transizione energetica vera. Chissà se, al di là dei proclami, vedremo presto qualcosa di concreto o se continueremo a cullare questa visione romantica sullo sfondo di un mare sempre più preda di dissidi e contraddizioni.