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Piano da 15 miliardi quanto basta per convincerci tutti a lavorare insieme… o almeno a provarci

L’emergenza abitativa non è più una questione da rimandare a tempi migliori: prezzi fuori controllo, regole arcaiche e un clima impazzito ci spingono a intervenire subito per costruire la tanto sbandierata «città del futuro», quella inclusiva, accessibile e, soprattutto, capace di fungere da ascensore sociale, perché senza quello, dimentichiamoci lo sviluppo nazionale. Questa è, in poche parole, la pietra tombale lanciata da Federica Brancaccio, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), in occasione della conferenza ‘Città nel futuro’ organizzata a Roma al Maxxi sotto la guida di Francesco Rutelli.
Ovviamente, non potevano mancare le magiche proposte Ance per un Piano nazionale pluriennale da 15 miliardi di euro, pronti a sgorgare dalle fonti più disparate di fondi pubblici, europei e nazionali. Un vero puzzle finanziario da diventare esperti nel districare.
Brancaccio non si fa problemi a dipingere la città come un calderone di crescita e ascensori sociali, lanciando un appello a un’inedita sinergia tra pubblico e privato. Perché, si sa, il progetto più ambizioso è quello che coinvolge tutti, nel nome del «consumo del suolo zero», della città per anziani e giovani e, ovviamente, di una metropoli che si adatti perfettamente ai capricci del clima.
Le sue parole? Una delicata e struggente supplica a superare il paradosso da premio Nobel: «Dove c’è lavoro non ci sono case, e dove ci sono case manca il lavoro». Davvero una scoperta rivoluzionaria, applaudita dall’immarcescibile Rutelli, che si affanna a spiegare come l’«housing» sia diventata la priorità numero uno per tutti i governi europei, che in coro soffrono allo stesso modo per questa piaga. L’adattamento climatico? Imperativo categorico. Siccità estrema da una parte, allagamenti dall’altra: serve un cambio di passo o si sta tutti fermi a guardare.
L’Ance si lancia nei numeri: per il Piano casa pluriennale si prevedono 15 miliardi, suddivisi in maniera forse un po’ fantasiosa, ma dettagliata. 1,5 miliardi dal Pnrr riprogrammato, 2,5 miliardi dai fondi strutturali 2021-27 ripescati dal cassetto, 6 miliardi dal prossimo Bilancio Ue 2028-2034, 3 miliardi dal Fondo sociale per il clima e il resto dal Fondo investimenti e infrastrutture. Un puzzle di cifre che sembra più un gioco da professionisti del finanziamento creativi.
Il quadro demografico? Da apocalisse urbana. Spopolamento generale al Sud con un calo di due milioni di persone entro il 2040, che equivale a cancellare città come Catania e Siracusa. Al Nord invece la popolazione aumenta, creando un’Italia a due velocità fatta di partenze e arrivi – ma senza case per chi lavora.
E nei prezzi, ciliegina sulla torta: tra il 2015 e il 2023 nell’Unione Europea gli immobili sono lievitati del 48%, gli affitti sono volati del 18% tra il 2010 e il 2022. Qui da noi, poveri sventurati, oltre un milione e mezzo di famiglie vive in condizioni di disagio abitativo, mentre per i nuclei con redditi fino a 24mila euro comprare o affittare in città è pura follia: metà del reddito se va bene, due terzi se sei proprio sfortunato. Stesso copione con gli affitti.
E nel frattempo? Il patrimonio edilizio pubblico fa la figura del deserto: solo il 3,8% delle famiglie abita in case popolari, con un impressionante 9% degli alloggi pubblici che resta inspiegabilmente vuoto. Gli studenti fuori sede? Numeri miseri, appena 62.000 posti letto, e meno dell’8% sono in strutture pubbliche o convenzionate, un dato da primato europeo solo per il pessimismo in confronto a Francia, Germania e Spagna.